TAR SU MILITARIZZAZIONE CORPO FORESTALE: “LA COSTITUZIONE GARANTISCE IL DIRITTO AL LAVORO MA NON ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO DI LAVORO”
Con ricorso deposito presso il TAR del Lazio i ricorrenti carabinieri forestali della regione Lazio hanno richiesto la disamina delle eccezioni e questioni di legittimità costituzionale sollevate avverso il d.lgs n.177 del 2016 in contestazione col disegno di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato ivi regolamentato.
Con ordinanza nr. 618 del 7 febbraio 2017, il TAR ha preliminarmente sottolineato che:
“l’atto introduttivo del giudizio consta di 75 pagine complessive (al netto di quelle recanti la procura alle liti e la prova dell’avvenuta notificazione), con una media di 44 righe circa a pagina; e, come tale, non appare rispettoso del dovere di sinteticità sancito dall’art. 3, comma 2, c.p.a., strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo.”
Il TAR ha inoltre evidenziato che:
“l’interesse che muove a tanto i ricorrenti, assegnati ai sensi dell’art.12 del citato decreto all’Arma dei Carabinieri, è quello evitare il mutamento di status che detto transito comporta e, conseguentemente, quello di evitare, fra l’altro, “il complesso delle limitazioni e condizionamenti indotti dallo status militi…. non essendo frutto di una libera scelta ma essendo forzata” e quindi “in antitesi con ogni principio democratico”. Essi inoltre, pur avendone la possibilità, non hanno optato per l’accesso ad altra amministrazione statale ritenendo incostituzionale anche la previsione del disegno di riforma che regolamenta tale facoltà non volendo essi “abdicare alle funzioni proprie della qualifica di appartenenza, conseguite col superamento di un concorso pubblico e spese lungo una carriera cui naturalmente si connettono sacrifici indiretti, di vario genere, primo fra tutti quello della vita privata e familiare” .
Nel, merito il TAR ha concluso che:
“con prevalente riguardo ai profili cautelari del giudizio, nel disegno riformatore contestato appaiono rispettati i principi di “salvaguardia delle professionalità esistenti”, della “specialità e unitarietà delle funzioni” e della “corrispondenza tra funzioni trasferite e transito del personale”, con la istituzione dei ruoli forestali dell’Arma e l’inserimento negli stessi del personale proveniente dal Corpo forestale, anche al fine di salvaguardarne la progressione di carriera secondo la disciplina vigente nel Corpo di provenienza e con un grado corrispondente alla qualifica posseduta. Sembra anche assicurato – o quantomeno non manifestamente violato – il rispetto del principio della “salvaguardia della posizione economica” per il personale che transiterà in altra amministrazione pubblica, nell’ambito del limitato contingente da definire (art. 12, commi 3 e 5); mentre, e sotto altra angolazione, è stata anche salvaguardata, compatibilmente con un nuovo assetto organizzativo dell’Arma, la sede lavorativa già occupata prevedendosi, al comma 20 dell’art.14, che il personale del Corpo forestale transitato nell’Arma dei Carabinieri viene confermato nella stessa sede di servizio in relazione alle esigenze di mantenimento della specialità e dell’unitarietà delle funzioni di presidio dell’ambiente, del territorio e delle acque e della sicurezza agro alimentare; mentre e quanto all’assunta militarizzazione ope legis del personale vanno osservate le aperture professionali in altri settori dell’amministrazione (che conseguentemente – e sebbene ritenuti in contrasto a Costituzione da parte ricorrente – sembrano escludere una “militarizzazione senza alternative”) non trascurando di rilevare che la soppressione dei pubblici uffici è nella piena disponibilità del Legislatore; e d’altro canto la Costituzione garantisce il diritto al lavoro ma non quello alla conservazione del posto di lavoro (C.C.le n.45 del 1965; n.189 del 1980:) a tanto accedendo che al potere legislativo citate di soppressione di enti od uffici non può essere contrapposto il diritto dei dipendenti a mantenerli in vita;
Per questi motivi il TAR ha respinto il ricorso e condannato la parte ricorrente pagamento delle spese del giudizio, liquidate in €1.500, a beneficio della parte resistente.