Difesa

Tangenti nell’Esercito, il generale intercettato: «Il sistema funziona così»

C’è anche il generale Gennaro Cuciniello – ora ai domiciliari, ma la procura aveva chiesto il carcere – tra i 64 indagati nell’inchiesta sugli appalti truccati per le forniture alle Forze armate. Il militare avrebbe continuato con le condotte illecite, secondo l’accusa, anche dopo il pensionamento, anzi: si sarebbe interessato perché un suo stretto collaboratore, Natale Antonio Palmieri – pure lui ai domiciliari – venisse trasferito presso la base militare di Pratica di Mare, dove sono previsti appalti milionari.

Nelle intercettazioni i due parlano esplicitamente di 30 milioni di euro. Un imprenditore, per ingraziarselo, avrebbe anche assunto suo figlio. Un altro avrebbe acquistato i prodotti venduti dalla moglie del militare. É Cuciniello il protagonista di una delle intercettazioni più importanti, per l’accusa. Racconta al figlio Gianmario come funziona il meccanismo delle ditte amiche: «So’ amici, hanno partecipato, hanno sparato prezzi alti e fine della storia, hai capito? Funziona accussì».

Nel corso dei mesi il generale si sarebbe adoperato per trovare altri incarichi: pensa di ottenere una nomina alla Corte dei conti, oppure all’Agenzia Industria e Difesa. Il colonnello Palmieri, nel febbraio 2019, sottolinea il prestigio che deriverebbe a Cuciniello dalla nomina a consigliere di un’autorità giurisdizionale. Pensa già in grande. Se il generale andrà a Industria e Difesa, commenta con un imprenditore, «farà una serie di valorizzazioni, gli daranno aerei e altre cose che possono essere anche vendute all’estero, quindi un buon canale per gli affari». C’è anche la prova di un contatto di Cuciniello con la Nato e altre strutture militari sovranazionali, che gli hanno consentito di acquisire informazioni in merito a gare specifiche, che lui avrebbe usato per favorire gli imprenditori amici. 

 

«QUANDO COMANDERÒ CE NE SARÀ PER TUTTI»
Anche per il colonnello Palmieri la procura aveva chiesto il carcere. Il gip sottolinea come il militare sia sempre «al centro del sistema di corruttela, prende i soldi anche nel suo ufficio con una disgustosa disinvoltura». Il suo, aggiunge il giudice, è un vero e proprio «modo di vita, un programma criminoso che si è assicurato anche per l’avvenire», dopo essere riuscito, appunto,ad ottenere il trasferimento a Pratica di Mare grazie a Cuciniello. Anche in questo caso, le intercettazioni sembrano parlare da sole.

Palmieri sostiene al telefono di voler fare partire dall’1 aprile la centrale d’Intendenza, che accorperà gli acquisti di tutti gli aeroporti militari dell’Aeronautica. A quel punto tutti si dovranno rivolgere a lui per l’indizione delle gare. «Ce ne sarà per tutti, tutti, tutti, tutti», dice intercettato. E aggiunge: «Tutti si devono rivolgere a me… io una volta che sono il direttore poi cambia tutto, Pratica di Mare, la gente si sta adeguando… non ho bloccato niente».

In effetti l’operazione sarebbe mastodontica: si parla di appalti per decine di milioni di euro: almeno trenta, dicono nelle intercettazioni. Visto che il suo stile di vita è decisamente sproporzionato rispetto allo stipendio, Palmieri studia un piano per non destare sospetti: racconta a uno degli imprenditori intercettati che non estinguerà il mutuo bancario che ha acceso, in modo tale che la propria situazione patrimoniale risulti “sempre in rosso”. In un’occasione è stato pizzicato mentre è andato a ritirare una tangente in una piazzola di sosta di un bar sulla via Pontina.

DISTINTIVI REALIZZATI ALL’ESTERO SENZA CONTROLLI
La prima accusa è la frode nelle pubbliche forniture relativa alla produzione dei nuovi distintivi di grado per l’Esercito Italiano. L’appalto era stato vinto dalla La.Bo.Conf., che «aveva l’obbligo di possedere i macchinari e le attrezzature necessarie, di essere in possesso della certificazione di qualità, di rispettare le normative in materia di sicurezza eco-tossicologica». Tutto falso, secondo l’accusa: la produzione avveniva all’estero, in Cina e Albania, senza analisi di qualità, senza controlli. 

«Le scatole quelle degli alamari…vc’hanno ‘Made in Cina’ fuori… ma se ci mettessimo una etichetta fuori? Se po’ leva’ la scritta ‘Made in Cina’… gliela copriamo, ok»: è un’intercettazione citata nell’ordinanza dal gip di Roma da cui emerge che gli indagati si rifornivano in Cina ma la merce doveva risultare fabbricata in Italia. La truffa ha riguardato la fornitura dei gradi in velcro da appuntare sulla divisa di Carabinieri e Guardia di Finanza (che erano prodotti a Shenzen), i gradi metallici, i cosiddetti ‘tubolari’ e anche una fornitura dei cappelli per gli Alpini.

Sotto accusa ci sono il titolare della società, Fabio Piedimonte, e il rappresentante Luigi Boninsegna, che avevano anche subappaltato la commessa in modo irregolare. Francesco Pasquale, tenente colonnello dell’Esercito, in sevizio presso il comando logistico di Roma, era il perito incaricato della verifica e del controllo sulla produzione: secondo l’accusa, avrebbe chiuso un occhio, evitando di fare analisi e di segnalare l’esistenza di un subappalto con il mercato estero. Gianni Sebastiano Cicala, tenente colonnello in servizio presso il Comando logistico di Roma, direttore dell’esecuzione contrattuale e diretto superiore di Pasquale, avrebbe «omesso di segnalare l’accertata produzione in subappalto e tramite il mercato estero».

In questo caso i fatti vanno dal luglio 2018 al gennaio 2019. Indagato anche il colonnello Massimo Pardo: è accusato di rivelazione del segreto d’ufficio per avere comunicato agli imprenditori che era stato disposto un controllo a sorpresa nell’azienda. Il colonnello Melchiorre Giancone, invece, è accusato di induzione indebita a dare o promettere utilità, perché «abusando dei suoi poteri e in violazione dei doveri di imparzialità dell’ufficio», avrebbe turbato il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando. Poi avrebbe indotto Piedimonte a farsi dare e promettere abiti e calzature. Avrebbe infatti promesso all’imprenditore l’aggiudicazione dell’appalto per la fornitura di cappotti per l’esercito, concordando le modalità di gara. Sotto inchiesta anche la gara per la fornitura di nuovi distintivi di grado per l’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza. La ditta produttrice era sempre la La.Bo.Conf. Indagati i militari che si sarebbero dovuti occupare dei controlli e del rispetto della normativa che, anche in questo, caso, non era stata rispettata.

Redazione articolo a cura di Michela Allegri per il Messaggero

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