SPARÒ PER SALVARE UN COLLEGA: IL CARABINIERE ORA RISCHIA 6 ANNI
Un’altra volta, il confine sottilissimo fra la legittima difesa e l’eccesso torna a far discutere. Il caso a cui facciamo riferimento è quello di Marco Pegoraro, maresciallo ed ex comandante della stazione di Carmignano di Sant’Urbano, a Padova. I fatti risalgono al 29 luglio del 2015: Pegoraro si era recato assieme al collega brigadiere Stefano Sarto a casa di Mauro Guerra, un culturista, per convincerlo a sottoporsi al Trattamento Sanitario Psichiatrico all’ospedale di Schiavona.
Il giovane, 30 anni e culturista da due metri per 100 kg di muscoli, all’inizio aveva detto che avrebbe acconsentito, dopo le lunghe trattative. Quando però deve salire in auto coi carabinieri, comincia a scappare. La corsa prosegue nei campi, il brigadiere Sarto lo insegue assieme al collega. Sarto è il primo a raggiungere Guerra, riesce a fermarlo e ad ammanettarlo, ma Guerra reagisce violentemente: comincia a tempestare di pugni il corpo ed il volto di Sarto, aiutandosi anche col ferro delle manette.
Pecoraro, temendo per la vita del collega, spara prima 3 colpi in aria e poi, non vedendo nessuna volontà di fermarsi da parte del trentenne (due metri per cento chili di muscoli) si inginocchia e ne spara un quarto, mirando al corpo del trentenne. Uccidendolo.
Legittima difesa, prova a dire il militare. Ma i pm non sono d’accordo. Prima il sostituto procuratore lo accusa di omicidio volontario, poi l’interrogatorio del maresciallo gli fa cambiare idea e modifica l’imputazione in eccesso colposo di legittima difesa. Inutile dunque aver sparato tre colpi in aria per evitare il pestaggio del collega. Per il magistrato il carabiniere ha comunque esagerato. Nell’imputazione si legge infatti che Pegoraro avrebbe potuto “neutralizzare la condotta violenta buttandosi su di lui, colpendolo con un calcio o con il calcio della pistola”. Facile a dirsi a mente fredda.