«SONO UN PEZZO GROSSO». LE MOSTRAVA IL TESSERINO DEI CARABINIERI E NON PAGAVA. INDAGINI PER CONCUSSIONE E VIOLENZA SESSUALE
Livorno, nel capo d’imputazione i retroscena di un’indagine rimasta segreta per due anni dove il militare che guidava l’ispettorato del lavoro è accusato di concussione in un articolo di Federico Lazzotti per il Tirreno.
LIVORNO. «Sono un pezzo grosso». E le mostrava il tesserino dei carabinieri. «Siamo amici e io non devo pagare nulla», diceva dopo i rapporti sessuali. Erano queste – secondo l’accusa – le armi psicologiche Federico Dati, ex comandante del nucleo dell’ispettorato del lavoro di Livorno, ora a processo, avrebbe usato per oltre un anno per ottenere prestazioni sessuali dalla titolare di un centro benessere della provincia di Livorno. Il ricatto ai danni della donna – per quello che ha ricostruito la Procura – avrebbe avuto un passaggio fondamentale nell’agosto del 2013 quando il militare si è presentato al centro benessere per un controllo che ha poi portato alla sospensione dell’attività.
Qualche mese più tardi lo stesso comandante si sarebbe ripresentato al centro benessere imponendo alla titolare, da qui in avanti, di assecondare tutte le sue fantasie erotiche. E arrabbiandosi quando la vittima si rifiutava di accontentarlo. Nel capo d’imputazione, rimasto segreto per due anni, vengono citati diversi episodi nei minimi dettagli. E soprattutto si dà conto di come, nonostante l’ex militare sapesse che all’interno del centro benessere si svolgesse attività di prostituzione «ha omesso qualsiasi tipo di controllo». Agli atti dell’indagine, oltre alla testimonianza della vittima, sono finiti i tabulati telefonici dell’imputato dove, nel solo 2015, sono state contate circa cento telefonate intercorse tra l’utenza del l’ex carabinieri intestata all’ispettorato del lavoro con quello del centro massaggi.
Oltre ai reati di concussione e violenza sessuale, l’episodio che riguarda il centro benessere ha portato gli investigatori a contestare a Dati anche il reato di falsità ideologica e materiale. Secondo gli investigatori, l’indagine è stata condotta dai carabinieri del nucleo investigativo di Livorno e dall’ispettorato del lavoro Firenze, dopo aver saputo che c’era un’indagine sul centro benessere avrebbe prima cercato di avere informazioni dai colleghi che stavano indagando e poi redigeva annotazioni che riportavano dati ideologicamente falsi spiegando di aver mantenuto contatti con la titolare per fini investigativi «al fine – si legge – di accertare la sua pregressa attività di lavoratrice in nero in alcuni opifici di Prato nonché nel tentativo di apprendere quali altri centri benessere avessero personale irregolare».