Sesso in carcere: un ricorso alla Consulta riapre il dibattito sul tema
Il giudice di sorveglianza di Spoleto ha deciso di porre questione di legittimità alla Corte costituzionale sul divieto di avere rapporti intimi durante la detenzione, accogliendo il reclamo di un detenuto. Abbiamo intervistato sul tema Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio Adulti sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone.
Il divieto di avere rapporti sessuali in carcere potrebbe essere incostituzionale. A porre la questione di legittimità alla Consulta è il giudice di sorveglianza di Spoleto, che ha deciso di considerare il reclamo di un detenuto contro il ‘no’ a incontri intimi, come riporta La Stampa. Nel quesito rivolto alla Corte costituzionale il giudice, Fabio Gianfilippi, ha scritto: “L’interessato si duole del divieto impostogli dall’amministrazione di svolgere colloqui intimi con i propri familiari e in particolare con la compagna. Una amputazione così radicale di un elemento costitutivo della personalità quale la dimensione sessuale dell’affettività finisce per configurare una forma di violenza fisica e morale sulla persona detenuta“.
Per approfondire l’argomento e far luce sulla situazione attuale in Italia e nel mondo upday ha intervistato il coordinatore dell’osservatorio Adulti sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, Alessio Scandurra. “Dell’argomento ormai si parla da tanto tempo”, osserva. “Mi occupo di carcere da 25 anni e posso dirle che in passato se n’è parlato anche di più. Anzi, prima nella discussione era più coinvolta l’amministrazione penitenziaria che in questo momento è invece più allineata su una posizione sostanzialmente contraria“.
Il diritto alla sessualità dei carcerati e le difficoltà nel metterlo in pratica
Secondo l’articolo 27 della Costituzione, le pene inflitte “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e al reinserimento nella società della persona reclusa. E proprio per questo il giudice di sorveglianza di Spoleto ha evidenziato quanto sia importante il mantenimento delle relazioni al di fuori dell’istituto carcerario. Il problema risiede tuttavia nel modo in cui sono regolamentate le visite. “Se una persona va in carcere, l’unica occasione che ha per incontrare i familiari è il colloquio. E questo segue diverse regole, una delle quali è il controllo visivo“, spiega Scandurra.
“Ed è evidente quindi che anche se un direttore in autonomia ritenesse giusto che i detenuti incontrassero riservatamente coniugi o partner, non potrebbe agire in questo senso: l’unico spazio disponibile sarebbe il colloquio che ha le regole di cui parlavamo prima. Non c’è la possibilità di agire con discrezionalità. In questo modo si lede anche il diritto delle persone che hanno una relazione con il detenuto e che rischiano di pagare pur non avendo fatto nulla”. Del valore dei rapporti affettivi e familiari durante la detenzione e anche dopo, nel percorso di reinserimento, se ne parla spesso. “In astratto c’è la consapevolezza“, prosegue Scandurra, “ma in concreto siamo ancora ai 10 minuti di telefonata alla settimana. C’è molto da fare e il tema dei ‘colloqui intimi‘ sembra sia sparito dall’agenda, anche se è ovvio a chiunque che sarebbe una cosa positiva. Non essendoci però nell’immagine che abbiamo oggi noi del carcere è difficile fare questo passo“.
La situazione in Italia e nel resto del mondo
“Siamo uno dei pochi Stati in Europa che non ha nessuna forma di ‘colloquio intimo’ e il tema si è fatto quindi più urgente. Nel resto del mondo la questione viene affrontata in maniera disomogenea. Può essere sia premiale, e quindi non legata al diritto della persona a mantenere la qualità delle relazioni familiari e affettive. In altri casi invece è affrontata proprio in questo modo, come una risorsa per i percorsi di reinserimento“. Attualmente sono 31 i Paesi europei che permettono ai propri detenuti di avere rapporti tra le mura del carcere. E diversi organi internazionali, come il Consiglio d’Europa e il parlamento europeo, hanno raccomandato agli Stati membri di garantire le visite coniugali, così come la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ribadito questo orientamento con una sentenza del 2021.
In Italia, “ci sono state alcune iniziative recenti a livello regionale, così come uscirono diverse proposte durante gli Stati generali sul carcere (nel 2015-2016, ndr). Si tratta di una cosa che andrebbe realizzata modificando la norma”, prosegue Scandurra. “O si decide che per i colloqui non è sempre necessario il controllo visivo, o si introduce la ‘visita intima‘ che ha le sue regole, diverse da quelle del colloquio. Servirebbero poi i tempi per organizzare degli spazi adatti che attualmente mancano”. E, in un secondo momento, anche capire chi ammettere ai ‘colloqui intimi’, sia il coniuge, il convivente, o la persona con cui c’è relazione affettiva nata dopo la detenzione. “Ci sono Paesi dove la prostituzione è legale e quindi il ‘colloquio intimo’ è consentito anche con le sex workers“, spiega il coordinatore dell’osservatorio.
L’immobilismo e l’isolamento dell’istituzione carceraria
Affrontare un cambiamento così radicale, tuttavia, si scontra con l’immobilismo del sistema carcerario che è spesso penalizzato da una burocrazia estremamente rigida e, come osservato in precedenza, anche dalla mancanza di spazi adeguati. “I discorsi sul carcere si sono molto evoluti negli anni ma è l’istituzione stessa che fatica a cambiare. L’esempio che faccio sempre è quello dei dieci minuti di telefonata alla settimana“, dice ancora Scandurra. “Sono stati introdotti nella legislazione nel 1976 perché era giusto che le persone detenute avessero una possibilità di comunicare simile a quella degli altri cittadini. Un lavoratore meridionale trasferitosi a Milano negli anni ’70-’80 aveva solo quel tempo per sentire i parenti rimasti nel luogo di origine. Quindi, i dieci minuti non erano una forma di isolamento, anzi. Poi sono passati 40 anni e la stessa norma oggi ha assunto carattere punitivo perché isola le persone. Nessuno pensa davvero che dieci minuti vadano bene o che venti possano essere troppi, tutti però credono che cambiare le cose sia una fatica colossale o che se ci si prova qualcuno si metta di traverso“.
Il carcere sconta anche il fatto di essere isolato. “Questo è un grosso problema perché le persone spesso si trovano a parlare di qualcosa che non hanno modo di conoscere”, aggiunge Scandurra. Molte piccole associazioni che ruotano attorno al carcere , come Antigone, si rendono conto dell’importanza di “aprire” gli istituti alla popolazione e viceversa, l‘amministrazione penitenziaria è invece un po’ il grande assente. “Capisco che per il direttore di un penitenziario la visita di classi delle scuole, per esempio, non sia una priorità. L’amministrazione penitenziaria però avrebbe le risorse per dire: “Portiamo un vicedirettore in più in quella struttura per mantenere le relazioni con l’esterno”. Sarebbe importante per diversi aspetti, anche per il fatto che lì vengono spesi soldi pubblici e i cittadini dovrebbero poter vedere come questi vengono impiegati“.
Conoscere il carcere
Per il coordinatore dell’osservatorio di Antigone, “il carcere è un’istituzione che non può sopravvivere senza relazioni al di fuori: la scuola negli istituti penitenziari la fanno gli insegnanti che fanno lezione all’esterno, i medici che curano i detenuti sono gli stessi della Asl. Ma spesso le dinamiche carcerarie sono faticose, per la burocrazia e la costante preoccupazione della sicurezza, mentre sarebbe molto utile oliarne i meccanismi. In alcuni Paesi ci sono istituti dove ogni anno viene fatto addirittura l’open day, come nelle scuole, ed è anche da queste occasioni che spesso si creano relazioni positive tra carcere e mondo esterno“.
Contrario il sindacato della polizia penitenziaria
C’è tuttavia chi non ritiene opportuno operare un’apertura in questo senso. Sempre sul quotidiano La Stampa è apparsa la posizione del segretario generale del Sappe, sindacato della polizia penitenziaria, Donato Capece. “Siamo seri, con tutte le criticità delle carceri italiane, dove si trovano i soldi per le casette dell’amore?”, ha detto il segretario. “E poi le prigioni rischierebbero di diventare postriboli di Stato e gli agenti guardoni di Stato. Si pensi piuttosto ad aumentare i permessi-premio o le misure alternative per andare incontro alle esigenze sessuali dei detenuti. Il carcere ha bisogno di una riforma, ma deve riguardare l’idoneità degli ambienti, la lotta al sovraffollamento, il bisogno dei detenuti di lavorare. In Italia ci sono novemila persone che stanno in carcere con pene inferiori a un anno. Perché? Sforziamoci di rispondere a domande come queste invece di preoccuparci della vita sessuale dei carcerati”. upday ha contattato il sindacato per un commento, ma al momento in cui scriviamo non ha ricevuto ancora risposta.