Selezione e controlli. L’Arma va riformata: “Per fare carriera la quantità prevale sulla qualità”
Fabrizio Cicchitto al quotidiano Il Tempo: Manca una vera rappresentanza sindacale tra i militari. Senza questa dialettica si producono zone d’ombra. Selezione e controlli L’Arma va riformata.
“L’Arma dei Carabinieri è una delle strutture fondamentali del nostro Stato e della nostra democrazia. La sua presenza capillare sul territorio nazionale le assegna un ruolo essenziale per ciò che riguarda la sicurezza dei cittadini e l’ordine pubblico. Di conseguenza una serie di episodi che vengono cavalcati da chi è nemico dell’Arma è fonte di preoccupazione proprio per chi è amico di essa e quindi valuta molto negativamente la sua perdita di credibilità. Allora non si può far finta che non vi sono stati una serie di episodi inquietanti: il caso Mollicone, il caso Marrazzo, le due studentesse violentate a Firenze. Questi episodi mettono in evidenza che c’è chiaramente un problema di selezione per l’ammissione che probabilmente non è più così rigorosa come era nel passato. Questi casi sono circoscritti, episodici, esperienze di «mele marce». Il caso Cucchi, invece, è una questione di intelligenza che riguarda un pezzo della catena di comando: di fronte a due soggetti che sono così rozzi e stupidi da picchiare un tossico-pusher che pesa 35 chili, subito il comandante locale avrebbe dovuto isolarli e metterli sotto accusa preoccupandosi anche dell’assistenza sanitaria di chi è stato colpito. Insomma, il caso Cucchi non avrebbe mai dovuto diventare un caso e avrebbe dovuto essere liquidato nel dovuto modo dai superiori gerarchici a livello provinciale. Altro che la catena di omissioni o addirittura di depistaggi che invece ci sono stati e che hanno costituito un colpo al prestigio dell’Arma. Molto più serio è il caso Piacenza. Esso mette in evidenza che c’è qualcosa di profondo che non funziona nella catena di comando e di controllo. Nel momento in cui la Polizia da corpo militare è diventata un corpo civile essa è stata caratterizzata da un’intensa dialettica fra le sue gerarchie e le numerose rappresentanze sindacali. Questa dialettica ha degli inconvenienti, ma produce una trasparenza che evidentemente riduce, anche se non elimina, il rischio di deviazioni, le aree di opacità e di collusione. Invece l’Arma dei Carabinieri è rimasta un corpo militare che non ha ammesso rappresentanze sindacali nel senso pieno del termine.
Ciò si sta rivelando un errore. E difficile gestire 110.000 persone, per di più con ruoli così delicati, solo con l’intreccio fra rigidi meccanismi autoritari e una rappresentanza dimezzata. Allo stato c’è una soluzione intermedia che evidentemente presenta tutti gli inconvenienti tipici delle soluzioni prive di chiarezza. Da una parte c’è il meccanismo gerarchico, dall’altro i Cobar locali e il Cocer nazionale che però non hanno avuto un pieno riconoscimento. Così assai spesso i Cobar locali e il Cocer parlano «all’orecchio» delle gerarchie senza alcuna trasparenza e senza un reale potere di confronto. Il caso Sassari è stato emblematico. A suo tempo il comandante provinciale colonnello Adamo, da tutti ritenuto un ufficiale di alto livello, ha denunciato alla procura della Repubblica alcuni carabinieri. La procura ha condiviso i rilievi e ha perseguito penalmente soggetti. Subito il Cobar regionale si è mobilitato a loro favore e così, per ragioni di consenso interno, l’allora comandante generale Del Sette e il comandante regionale Bacile hanno solidarizzato con i carabinieri denunciati e messo sotto accusa Adamo. Senonché la procura era così sicura del fatto suo che ha indagato proprio Del Sette. Insomma, una situazione contraddittoria che ha messo in evidenza l’esistenza di una situazione al limite della governabilità. A Piacenza si è invece verificata una situazione limite, nel senso che la carenza di reali controlli interni ha addirittura consentito la formazione di una sostanziale associazione a delinquere fra alcuni soggetti. A sua volta però il dott. Ghitti, magistrato di grande esperienza già stato a Piacenza, ha sottolineato un’altra questione: l’ossessione per il numero degli arresti a fini di prestigio e di carriera con la quantità che prevale sulla qualità. È evidente allora che c’è nell’Arma un problema culturale. Un conto è la quantità, un altro la qualità dell’azione preventiva e repressiva.
Va quindi messo in atto un ripensamento di fondo che deve riguardare tutto, dalla selezione, alla cultura dell’addestramento, ai controlli interni, alla strategia della prevenzione e della repressione.
Detto tutto ciò, possiamo dire che a questo punto il cerchio si è chiuso: siamo partiti dalla criminalizzazione dei politici all’esaltazione dei magistrati decollati nel ’92-’94. Poi il trojan nel telefono di Palamara ha reso pubblico a proposito della magistratura quello che già si sapeva ma che non si poteva provare. Adesso Piacenza apre un’altra questione riguardante proprio il funzionamento dell’Arma dei Carabinieri dal punto di vista del controllo al suo interno. Sottolineiamo tutto ciò per rilevare che lo Stato e la società italiana stanno attraversando una crisi assai profonda e che o c’è un grande sforzo per riformare e cambiare oppure rischiamo di affondare in un processo di disgregazione che riguarda tutto e tutti, dalla classe politica, alla magistratura, alle forze dell’ordine, a una parte del mondo imprenditoriale.”