“Se rientro da missione non è la sede originaria, scatta l’indennità”. Il TAR sferza (ancora) il Ministero della Difesa
(di Avv. Umberto Lanzo)
Una nuova condanna per la Difesa: Bolzano si allinea alla giurisprudenza favorevole ai militari
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano ha emesso una sentenza che suona come l’ennesimo schiaffo giuridico al Ministero della Difesa, reo – ancora una volta – di voler negare l’indennità di trasferimento ai militari rientrati da missioni estere e riposizionati in sedi diverse da quella originaria.
Come già accaduto al TAR Lazio e al TAR Friuli Venezia Giulia, anche il T.R.G.A. riconosce che non si può giocare con i diritti dei militari: rientrare in Italia non significa tornare “a casa” se la nuova sede non è quella di partenza.
I fatti: missione all’estero, rientro in Italia e… beffa
I due ricorrenti erano stati destinati per lungo tempo a incarichi internazionali e, al rientro, sono stati trasferiti d’autorità a Bolzano presso sedi differenti da quelle originarie.
Il Ministero? Ha detto no. Niente indennità. Secondo la Difesa, la missione estera “azzera” il percorso, come se il militare rientrasse in un limbo normativo. Ma il TAR (ancora una volta) ha stroncato questa lettura con una chiarezza giuridica feroce.
La legge 86/2001 non è carta straccia
Il Collegio giudicante ha demolito uno a uno gli argomenti ministeriali, ribadendo l’applicabilità del comma 1 dell’art. 1 della legge n. 86/2001, che riconosce l’indennità per chi viene trasferito d’autorità in un Comune diverso e distante oltre 10 km da quello di provenienza.
E no, la soppressione del comma 4 della medesima legge non è una scappatoia per evitare il pagamento. Secondo il Tribunale, l’abrogazione non annulla il diritto per chi, dopo una missione estera, si ritrova a cambiare completamente sede.
Anzi: il disagio logistico, familiare ed economico di chi si muove da un Comune a un altro, per volere dell’amministrazione, non può essere ignorato. La ratio della norma è chiara e il Ministero non può interpretarla a piacimento.
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Giurisprudenza a raffica: non è un caso isolato
La decisione si inserisce perfettamente in un filone ormai consolidato:
- Il TAR Lazio aveva già aperto la strada riconoscendo che il rientro dei carabinieri in servizio presso le Ambasciate in sede diversa da quella originaria costituisce trasferimento d’autorità a tutti gli effetti;
- Il TAR Friuli Venezia Giulia ha sancito che non è possibile ignorare i diritti economici maturati dal personale militare che si sposta su disposizione gerarchica.
Adesso anche il TAR di Bolzano si è espresso nella stessa direzione, sottolineando che ignorare tali tutele costituisce disparità di trattamento tra chi resta in Italia e chi parte in missione, subendo un doppio sacrificio: professionale e giuridico.
Indennità riconosciuta e spese a carico dello Stato
Il Tribunale ha condannato il Ministero della Difesa a pagare l’indennità di trasferimento, riconoscendo il diritto soggettivo dei ricorrenti ai sensi della legge n. 86/2001. Nessuna rivalutazione monetaria, ma interessi legali dalla data del trasferimento al pagamento effettivo.
Inoltre, il Ministero dovrà versare anche le spese di lite, quantificate in 2.000 euro, in favore del difensore dei ricorrenti.
Missione estera non cancella i diritti: chi rientra in sede diversa ha diritto all’indennità
È ora che il Ministero della Difesa, i vertici militari e anche il legislatore recepiscano, una volta per tutte, quanto stabilito con cristallina chiarezza dalla giurisprudenza: se il militare rientra dall’estero e viene trasferito d’autorità in una sede ubicata in un altro Comune e a più di 10 km dalla precedente, scatta il diritto pieno all’indennità di trasferimento prevista dalla legge 86/2001.
Non importa che vi sia stata una missione estera nel mezzo: il servizio all’estero non spezza il filo del diritto, né può cancellare le tutele che la legge garantisce. Diversamente, negare l’indennità equivale a discriminare chi ha servito all’estero rispetto a chi non si è mai mosso, e ciò non è più tollerabile.
La norma è chiara, la ratio è consolidata, e la scorciatoia dell’abrogazione del comma 4 non regge più. Se ancora oggi si persevera in questo diniego, non è più una questione tecnica, ma una precisa scelta politica e amministrativa, contro i diritti del personale in uniforme.
È evidentemente inaccettabile che, pur in presenza di un quadro normativo inequivocabile e nonostante le pesanti ripercussioni familiari e professionali generate da tali provvedimenti, l’Amministrazione e i suoi vertici persistano nell’emettere atti palesemente illegittimi, dimostrando un’arrogante indifferenza verso la legge e il benessere del personale, quasi a voler legittimare un’ingiustizia sistematica e calcolata.
Il messaggio della giustizia: i diritti non vanno dislocati
Questa sentenza è molto più di una condanna. È un monito chiaro alla Pubblica Amministrazione: la legge non si interpreta a convenienza. I militari, che sacrificano anni di vita personale per il servizio alla Nazione, non possono essere abbandonati nel limbo delle ambiguità normative.
E se la giurisprudenza continua a ribadire un principio così elementare, forse è il caso che il Ministero della Difesa riveda finalmente la propria linea. Prima che a farlo siano ancora una volta i giudici, con tanto di interessi legali, spese processuali e reputazione compromessa.
🔎 Approfondimenti a cura dell’Avv. Umberto Lanzo
Un ufficiale rientrato da missione estera ottiene giustizia: il rientro in sede diversa è un trasferimento a tutti gli effetti.
Il Tribunale riconosce il diritto all’indennità per i militari rientrati da sedi diplomatiche estere in località diverse da quella d’origine.
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