Scrisse sui social “Fuck the Police”. Cassazione: non è vilipendio insultare la polizia locale
Una recente decisione della Corte di Cassazione non considera gli insulti sui social contro la polizia municipale come un reato di vilipendio delle forze dell’ordine. Una sentenza che farà discutere e, in ogni caso, a prescindere dalla decisione della Suprema Corte, la regola più elementare della vita civile dovrebbe essere il rispetto e l’educazione alla base di qualsiasi tipo di comunicazione, anche sociale.
Cosa prevede la legge
Si parla di vilipendio quando qualcuno pubblicamente offende, usando termini volgari o denigratori soggetti dotati di particolare dignità sociale quali: la Repubblica Italiana, intesa anche nella figura del Presidente, le Assemblee legislative, ovvero il Governo o la Corte costituzionale, l’ordine giudiziario, le Forze Armate dello Stato o quelle della liberazione, e la bandiera.
Chi commette questi reati è punito, a seconda della gravità dello stesso, con la reclusione da sei mesi a cinque anni, oppure con una multa che oscilla tra i 100 e i 6.000 euro.
Si fa riferimento al termine vilipendio anche in relazione ad alcuni delitti contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti.
Attualmente, infatti, sono presenti nel codice penale italiano i seguenti reati di vilipendio:
- Offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica (art. 278), che ha sostituito il precedente reato di “vilipendio alla persona del Re”;
- Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate (art. 290);
- Vilipendio alla nazione italiana (art. 291);
- Vilipendio alla bandiera italiana (art. 292);
- Offesa alla bandiera o emblema di Stato estero (art. 299);
- Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone (Art. 403);
- Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose (Art. 404);
- Vilipendio delle tombe (art. 408);
- Vilipendio di cadavere (art. 410).
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La decisione della Suprema Corte di Cassazione
I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dell’imputato, un ragazzo che all’epoca dei fatti era ancora minorenne, accusato di aver pubblicato sul proprio profilo Instagram una fotografia nella quale veniva ritratto davanti a un’automobile della Polizia locale con la scritta «fuck the police».Il giovane era stato precedentemente giudicato dalla Corte d’appello di Milano, sezione minori, la quale aveva confermato la sentenza emessa dal G.u.p., che aveva dichiarato il non doversi procedere per estinzione del reato grazie alla concessione del perdono giudiziale. In seguito alla decisione in secondo grado, l’imputato decide di presentare ricorso sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe dovuto pronunciarsi con una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, considerato che aveva ammesso fin da subito l’addebito dichiarandosi anche dispiaciuto per la propria condotta, effettuando un risarcimento simbolico alle Forse dell’ordine. Inoltre, sosteneva il ricorso, la frase incriminata era pubblicata sui social « in un contesto goliardico e inconsapevole» riportata dopo la partecipazione ad un video musicale.
La Corte di Cassazione si concentra su un’altra cosa: per gli Ermellini la Polizia Locale non possiede «la qualifica di forza armata, anche se munita di armi da fuoco». In Italia le forze armate sono: Carabinieri, Esercito, Marina Militare, Aeronautica. Essendo privo della qualificazione che costituisce l’elemento normativo essenziale richiesto dal codice penale, secondo la Cassazione «un fatto commesso con riferimento alla Polizia Locale, che non è neppure un reparto militare – conclude la Corte – non può integrare, di conseguenza, il reato» di Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze Armate. Per questo motivo i giudici annullano senza rinvio la sentenza impugnata stabilendo che il fatto di reato così come contestato non sussiste.