Carabinieri

Ros Carabinieri: “nomadi” senza volto. Gli invisibili: “la fatica” che non si può raccontare 

Pochi giorni fa il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha incontrato al Quirinale i vertici dell’Arma con una delegazione del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale) e del GIS (Gruppo Intervento Speciale) per esprimere, nei confronti di questi valorosi militari, le sue personali congratulazioni, nonché porre in risalto le alte capacità professionali e la dedizione al servizio che hanno consentito di ottenere la cattura del sanguinario latitante Matteo Messina Denaro. 

Il Presidente Mattarella ha ricevuto il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Teo Luzi, insieme ad una rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri

Un incontro importante e prestigioso – sottolinea Carmine Caforio – che diffonde un forte segnale di supremazia della Giustizia sul crimine e rafforza la fiducia dei cittadini nei riguardi delle Istituzioni. Ma cosa c’è dietro quelle foto che ritraggono alti dirigenti dello Stato e solo alcuni dei valorosi Carabinieri che hanno partecipato alla maxi operazione? 

Un compito arduo, spesso fatto di incognite e alto rischio, che impone la massima concentrazione sull’obiettivo da raggiungere. Rinunciare al riposo, alla licenza, al recupero e alla retribuzione di migliaia di ore di lavoro straordinario, sono condizioni che, se si vuole portare a termine la missione, bisogna mettere in conto e accettare con sana e motivata convinzione. Nessuno ne parla, o perlomeno pochi hanno il coraggio di raccontare la vera “fatica” e il sacrificio che si nascondono dietro quel pugno di “nomadi senza volto”. Sì, proprio così, Caforio, con un eufemismo, definisce i Carabinieri del ROS: uomini e donne “senza fissa dimora” che hanno dimenticato il loro nome di battesimo, costretti a mentire persino agli affetti più cari ed a trascurare le loro famiglie, consci di quel che fanno ma non di quello che, da lì a poco, potrebbe attenderli.

Nulla, in questo ambito, può essere dato per scontato e tantomeno sottovalutato; “una frase intercettata, a volte anche una sola parola pronunciata in dialetto indecifrabile, può essere un segnale determinante, un messaggio in codice che potrebbe chiudere una partita o aprirne un’altra”. Un’attività che ti trascina in un vortice colmo di emozioni e passione in grado di assorbire tutte le risorse fisiche e mentali, persino “congelare” i sentimenti più forti. Un coinvolgimento che anestetizza la fatica, la fame e finanche la stanchezza: almeno sin quando l’ossessione del risultato non si trasforma in allucinazione – più di 40 ore di servizio ininterrotte per pedinamenti e osservazioni non sono una regola, ma per i Carabinieri della CRIMOR (Criminalità Organizzata) neanche un’eccezione. Carabinieri, nell’animo e nell’azione, che per raggiungere l’obiettivo della “CATTURA”, devono anticipare il nemico; ma per fare questo hanno bisogno di entrare nella cultura mafiosa e vivere, attimo dopo attimo, come veri protagonisti di un film senza fine, una vita parallela che non gli appartiene.

La mafia, per il momento, ha perso contro lo Stato, non ha più i suoi sanguinari capi ma, anche se i riflettori si sono spenti, gli uomini del ROS e della CRIMOR continuano la loro missione nell’ombra. Una missione – conclude Caforio – che si interromperà solo in occasione della cerimonia di commiato celebrata in una saletta impolverata tra cavi elettrici, cuffie acustiche, radiotrasmittenti e computer, allestita, nell’occasione, con due tovagliette di carta e un vassoio di pasticcini. Un gesto umile ma profondamente simbolico per salutare gli ultimi “sbirri” che, attraverso la loro generosa dedizione al dovere, hanno restituito legalità e sicurezza all’intera Nazione.

Onori all’Appuntato Scelto Qualifica Speciale F.R. (nome di battaglia Gladio) -in servizio al ROS dal 1990-, che nessuna sfavorevole circostanza è stata mai in grado di impedirgli di partecipare “da protagonista”, insieme ad altri storici Carabinieri (alcuni dei quali oggi in quiescenza), all’arresto di Salvatore Riina e di Matteo Messina Denaro. Al Maresciallo Capo Filippo Salvi (nome di battaglia Ram), caduto in servizio nel 2007 e ai tanti altri operatori che, nelle condizioni più disparate e disagevoli immaginabili dalla mente umana, senza risparmio di energia e sfidando le leggi della resistenza fisica e mentale, hanno dedicato la loro vita, sacrificato quella delle proprie famiglie, alla lotta contro la criminalità organizzata, ponendo fine alla lunga latitanza dell’ultimo, il più efferato e temuto dei mafiosi, che ha segnato l’epoca stragista di cosa nostra.

Al costo di meno di un caffè al mese potrai leggere le nostre notizie senza gli spazi pubblicitari ed accedere a contenuti premium riservati agli abbonati – CLICCA QUI PER ABBONARTI

I commenti sono chiusi.

error: ll Contenuto è protetto