Quanti e quali sono gli alleati della Russia in Africa
Sempre più Paesi dell’Africa si rivolgono alla Russia per ottenere supporto militare, politico e commerciale. La progressiva uscita di scena dell’Europa colonialista favorisce l’ingresso di nuovi attori non sempre interessati a democrazia e diritti, primo fra tutti Mosca, che fa ricorso anche a soft power e comunicazione di massa, proponendosi come campione dell’anti-colonialismo occidentale. Facciamo il punto.
L’Africa si va progressivamente de-europeizzando. Il trend di una riduzione della presenza politica – ma anche fisica – è in costante crescita. Se ne vanno contingenti militari dopo sonori fallimenti nell’azione di contenimento dell’avanzata jihadista in Sahel. Diminuiscono gli scambi commerciali tra i due continenti, che nel 2000 vedevano 38 Paesi africani con l’Europa come principale mercato di esportazione e 30 come import, divenuti 17 per l’export e 10 per l’import vent’anni dopo. Ma con una cadenza che si fa sempre più regolare, escono di scena anche i rappresentanti diplomatici: dopo la cacciata degli ambasciatori francesi Joel Meyer (gennaio 2023) e Luc Hallade (gennaio 2023) rispettivamente da Mali e Burkina Faso a opera delle giunte golpiste dei due Paesi, è toccato a quello tedesco Gordon Kricke di lasciare il Ciad lo scorso 7 aprile.
La Russia riempie i vuoti in Africa
Ma il vuoto lasciato dalle vecchie potenze coloniali non rappresenta solo una dato di affrancamento e liberazione. Nel vacuum venutosi a creare con l’uscita di scena dell’Europa, in parte causata da una generale insofferenza delle popolazioni una volta colonizzate e schiavizzate, si stanno inserendo a ritmo frenetico nuovi attori i cui curricula e storia non lasciano presagire sviluppi in direzione della democrazia. Prima fra tutti, la Russia.
Nell’ultimo decennio, Mosca ha rapidamente moltiplicato il suo radicamento in Africa e lo ha fatto sfruttando soft power e presenza militare. Proponendosi come la risposta migliore ai problemi dei Paesi africani – il terrorismo jihadista, le crisi economiche interne e di intere aree, le infrastrutture carenti, l’instabilità politica etc – e come il nuovo campione nella lotta al neocolonialismo occidentale, è divenuta un punto di riferimento stabile per molti governi e popolazioni.
L’intervento nei conflitti: il ruolo di Wagner in Libia e oltre
Inizialmente per la Russia si è trattato di innescare una penetrazione attraverso l’inserimento in veri e propri conflitti, fornendo appoggio militare, logistico e di know-how a fazioni belligeranti. È il caso della Libia, dove la Russia staziona ormai da anni costantemente, giunta in appoggio al generale Khalifa Haftar e mai più uscitane. O quello della Repubblica Centrafricana dove i miliziani della Wagner sono direttamente entrati nel conflitto in atto da oltre un decennio e hanno portato fette della popolazione a considerarli dei veri e propri liberatori.
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La Wagner è un vero e proprio strumento di politica estera di Mosca in Africa. Oltre a Libia e Centrafrica, è fortemente presente in Mali, Mozambico, Madagascar e in quel Sudan attualmente travolto dal conflitto civile: lo storico accordo con Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagal, il leader della Rapid support forces (Rsf) che ha mosso guerra ad Abdelfattah Al-Burhan, capo dell’esercito e presidente de facto del Paese, prevedeva un grosso accordo sulle miniere di oro e uranio. Risale ormai a un decennio fa.
Dove arrivano le armi e le milizie russe
Seppure in forma minore, effettivi della milizia paramilitare agli ordini di Evgeny Prigožin sarebbero presenti in almeno altri 12/13 Paesi africani tra cui Angola, Burkina Faso, le due Guinee. Nel frattempo cresce vertiginosamente la vendita di armi russe in Africa, anche in Paesi in cui Wagner non è presente. A guidare la lista c’è l’Algeria che proprio qualche mese fa ha siglato un imponente accordo di circa 12 miliardi di dollari con Mosca, seguita da molti altri come l’Eritrea del dittarore Afewerki, saldamente alleato di Vladimir Putin, che ‘vanta’ presenze e arsenali da tempo. Vale la pena ricordare che l’Eritrea è stata tra i pochissimi Paesi – insieme a Siria, Corea del Nord e Bielorussia – a bocciare a marzo 2022 la risoluzione di condanna Onu per l’invasione russa in Ucraina.
Non solo armi: come funziona il soft power di Mosca
Nel frattempo, come spiega bene Africa Report, la Russia punta tutto sul soft power e si propone quale principale attore per un’offensiva contro il ‘neocolonialismo’ occidentale. Il 19 e 20 marzo scorsi, sono volate a Mosca circa 40 delegazioni africane in preparazione al vertice Russia-Africa di luglio a San Pietroburgo. Tema principale all’ordine del giorno: cooperazione e lotta all’influenza delle “ex potenze coloniali”. Tantissimi i leader politici presenti, tutti di altissimo livello rappresentativo, molti appartenenti a giunte golpiste come Mali, Ciad, Burkina Faso, Guinea Conakry. Ma c’erano anche esponenti dallo Zimbabwe, l’Algeria, la Guinea–Bissau. È interessante notare, poi, come Mosca stia utilizzando mezzi di comunicazione di massa per promuovere la sua agenda in Africa. Finanzia film, media locali, influencer ‘anti-imperialisti’ e la gestione di campagne di propaganda in rete, arrivando fino a sponsorizzare il concorso Miss Centrafrica a Bangui nel dicembre del 2018.
Dove va l’Africa
Tutti questi elementi, naturalmente, spostano e anche l’asse geopolitico del continente e del mondo. La posizione presa dai Paesi africani verso la guerra in Ucraina ondeggia fin dall’inizio e tende più verso l’astensione, quando si tratta di votare risoluzioni, che verso l’appoggio. Ha fatto un certo clamore, poi, la dichiarazione del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa di fine aprile con la quale annunciava la volontà del suo Paese di uscire dalla Corte penale internazionale (Icc).
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La mossa arriva all’indomani del mandato di arresto internazinale spiccato dall’Aia contro Putin e si spiega con la riluttanza del Sudafrica ad arrestarlo in occasione della sua visita in agosto (quando è previsto un summit dei Brics, ndr). Il Sudafrica, infatti, pur non essendo membro dell’Icc, è firmatario dello Statuto di Roma. Qualora Putin mettesse piede sul suo suolo dovrebbe procedere ad arrestarlo.
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