PUR DI NON DARE RAGIONE AL CARABINIERE, LA SECONDA SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO SCONFESSA LA QUARTA
(nota a parere n.1355/2017 del Consiglio di Stato) di Cleto Iafrate
- PREMESSA
Il Davide della vicenda di cui ci occuperemo di seguito è un giovane carabiniere, di quelli che nella scala gerarchica è collocato agli ultimi posti e, pertanto, come il pastorello del racconto biblico, è impiegato per lo più in compiti esecutivi e certamente non di concetto. Il carabiniere, vedendosi respinta una istanza di trasferimento, presenta prima un ricorso gerarchico – anch’esso rigettato – e, successivamente, un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Nell’ambito del ricorso gerarchico, per dimostrare la fondatezza dei motivi addotti, estrae copia di atti d’ufficio conservati nel carteggio ordinario della stazione nella quale presta servizio. Atti, quindi, che erano nella sua disponibilità e che in seguito saranno definiti dai Giudici di Palazzo Spada come “necessari per la difesa nel ricorso”.
Apriti cielo. Come ha osato Davide “estrarre” dal torrente quelle pietre lisce necessarie per difendersi da Golia? Chi lo ha autorizzato a togliersi l’armatura? Avrebbe dovuto combattere solo con l’armatura in sua dotazione.
Ma come! Quell’armatura era talmente pesante e stringente da impedirgli qualsiasi movimento!
Al carabiniere viene subito inflitta una sanzione disciplinare di tre giorni di consegna con la seguente motivazione: “(…) nell’ambito di ricorso gerarchico avverso provvedimento amministrativo di diniego di trasferimento, estraeva copia di atti d’ufficio conservati nel carteggio ordinario della stazione (…) inosservante delle norme inerenti l’accesso agli atti ed in assenza della prevista autorizzazione, violazione degli artt. 712, 713, 717 del d.P.R. 90/2010”.
Si precisa, a beneficio del lettore estraneo all’ambiente militare, che la sanzione della consegna, per i militari accasermati, ha la stessa afflittività degli arresti domiciliari[1].
Davide, tuttavia, non si dà per vinto e tenta di resistere anche al provvedimento sanzionatorio. Nonostante il suo coraggio e la buona mira, Davide non riuscirà a sconfiggere Golia; perché quest’ultimo sarà aiutato da chi sarebbe dovuto rimanere al di sopra delle parti.
- IL PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO
Il carabiniere – dopo aver esperito, senza esito, il ricorso gerarchico – impugna il provvedimento con cui gli viene inflitta la sanzione di corpo utilizzando lo strumento del ricorso per motivi aggiunti connessi al ricorso Straordinario già proposto.
Come noto, il codice del processo amministrativo, per ragioni di economia processuale, consente ai ricorrenti (principale e incidentale) di introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, “ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte”[2].
La seconda sezione del Consiglio di Stato, chiamata dal Ministero ad esprimere un parere sulla questione, per non entrare nel merito, decide di non decidere. Ma si smarca con una formula di stile che sconfessa un precedente consolidato orientamento. Orientamento che la quarta sezione dello stesso Consiglio di Stato – come vedremo – interpreta addirittura in maniera ancora più estensiva a favore dei ricorrenti.
In buona sostanza, il massimo organo di giustizia amministrativa stabilisce che tra il mancato trasferimento e la sanzione disciplinare non vi sia alcuna connessione oggettiva, pertanto afferma che il ricorso principale sia improcedibile (in quanto il ricorrente, nel corso dell’istruttoria, ha ottenuto il bene della vita al quale aspirava: il trasferimento) e i motivi aggiunti debbano essere dichiarati inammissibili. Ciò in quanto la circostanza che il ricorrente sia incorso in una sanzione di corpo “è evenienza puramente soggettiva che non può superare la separatezza dei procedimenti”.
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PARERE N. 1355/2017, CONSIGLIO DI STATO, II SEZIONE.
Se il militare avesse presentato separatamente i due ricorsi, e questi non fossero stati riuniti, i singoli giudizi avrebbero dovuto stabilire se il diniego di trasferimento, o la sanzione disciplinare, oppure entrambi, presentavano delle patologie.
2.1 A proposito della soddisfazione del bene vita.
Dal testo del parere emerge che nel corso dell’istruttoria – e comunque dopo circa due anni e mezzo dal diniego del trasferimento – il carabiniere viene trasferito ad altra provincia di suo gradimento, che, nonostante sia diversa da quella originariamente richiesta, è comunque idonea a soddisfare le sue esigenze. Circostanza questa che, secondo i giudici amministrativi, è sufficiente a soddisfare il bene vita agognato.
Una tale conclusione non convince per il seguente motivo.
Questione strettamente collegata ai trasferimenti è quella del periodo di permanenza minima al reparto, al quale è condizionata la possibilità di presentare una successiva domanda di trasferimento. Da questo punto di vista, il ricorrente è stato irrimediabilmente danneggiato dal momento che si vedrà ritardata, di oltre due anni, la possibilità di presentare una nuova istanza di trasferimento. Ciò conferisce ad eventuali controinteressati un indiscusso vantaggio, creando un considerevole anticipo nella possibilità di ottenere un futuro trasferimento.
Venuta meno la premessa, decadrebbe anche la conclusione.
Ma non è questo il punto.
Anche qualora il militare fosse stato trasferito con decorrenza ex-ante – ovverosia, nell’ipotesi in cui la premessa fosse stata corretta – non si può non tacere il seguente ulteriore argomento.
2.2 A proposito dell’ammissibilità dei motivi aggiunti.
Come detto, è consentito introdurre nel processo amministrativo domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ma a differenza che nel processo civile – nel quale il cumulo delle domande può essere giustificato tanto da una connessione oggettiva, quanto da una connessione soggettiva[3] – nel processo amministrativo impugnatorio di legittimità assume rilevanza soltanto la prima forma di connessione.
La connessione soggettiva, al contrario, non consentirebbe l’impugnativa con un unico ricorso di provvedimenti diversi, a meno che sussista anche un collegamento oggettivo tra di essi. In altri termini, nel giudizio amministrativo occorre che le domande siano o contemporaneamente connesse dal punto di vista oggettivo e soggettivo, oppure semplicemente connesse dal punto di vista oggettivo.
L’elasticità semantica dell’espressione “domande nuove purché connesse”, idonea a ricomprendere varie tipologie di connessione e volutamente generica, è stata meglio chiarita dalla giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato, che ha ravvisato la sussistenza della connessione oggettiva quando:
– “fra gli atti impugnati viene ravvisata quantomeno una connessione procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico, in quanto i diversi atti incidono sulla medesima vicenda;
– le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e siano riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale;
– sussistano elementi di connessione tali da legittimare la riunione dei ricorsi[4]”.
La quarta sezione del Consiglio di Stato interpreta addirittura in maniera ancora più estensiva la portata della sopracitata espressione, stabilendo che “in merito alla natura dell’istituto dei motivi aggiunti, (…) si va affermando la considerazione dell’autonomia dei singoli giudizi, quali autonomi ricorsi occasionalmente congiunti in una sorta di connessione ex lege, atteso che vige anche in materia di motivi aggiunti (intesi come impugnazione di atti sopravvenuti) il principio dell’equivalenza delle forme e della conversione/conservazione degli atti processuali, di tal che si ritiene comunemente che se i nuovi atti vengono impugnati non mediante motivi aggiunti, bensì mediante un ricorso separato, non si determina alcuna inammissibilità ma vi è semmai la facoltà (se non il dovere) di procedere alla riunione d’ufficio; così come nell’ipotesi inversa (proposizione di motivi aggiunti laddove si doveva proporre un ricorso separato) si potrà (o dovrà) procedere d’ufficio alla separazione dei processi (si veda Consiglio di Stato, sez. III, 17 agosto 2011 n. 4792) [5]”.
Nel caso in esame, la seconda Sezione del Consiglio di Stato, negando la connessione oggettiva, è come se avesse stabilito che tra il diniego del trasferimento e la sanzione disciplinare non vi sia alcuna consequenzialità.
E’ di tutta evidenza che il militare mai si sarebbe sognato di procurarsi, in maniera irrituale, atti necessari per la sua difesa se non avesse avuto la necessità di difendersi. Mi pare ovvio. Com’è altrettanto evidente che il ricorso straordinario e i motivi aggiunti vertevano su comuni questioni di fatto e di diritto: “sanzione disciplinare per un fatto avvenuto nell’ambito di ricorso gerarchico avverso provvedimento amministrativo di diniego del trasferimento”. Stando così le cose, non si comprende la ragione per la quale i giudici della seconda Sezione di Palazzo Spada non abbiano voluto riconoscere la sussistenza della connessione oggettiva.
Parlare di “evenienza puramente soggettiva”, francamente, a me pare una forzatura al solo scopo di evitare la pronuncia nel merito.
L’autodifesa, le esigenze di giustizia sostanziale, le questioni di particolare complessità e di interesse pubblico che erano in gioco, rendevano preferibile un’interpretazione meno restrittiva della norma processuale per pervenire ad una pronuncia di merito[6].
Il Consiglio di Stato avrebbe dovuto trattare insieme i due procedimenti e verificare se i documenti erano rilevanti e, soprattutto, se il diniego di trasferimento e il provvedimento disciplinare erano o meno affetti da vizi.
- CONCLUSIONI
E’ singolare notare come l’orientamento più restrittivo sia stato utilizzato dalla seconda Sezione – che è quella competente per i Ricorsi Straordinari contro il Ministro della Difesa – proprio nei confronti di un militare di truppa, che ha esperito l’autodifesa, cioè ha affrontato Golia da solo (solitamente in Consiglio di Stato è ammessa la sola difesa tecnica[7]).
E pensare che il Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica, che risale ai tempi delle monarchie assolute, è definito “ricorso dei poveri” (almeno lo era fino al 2011[8]) in quanto nato proprio allo scopo di consentire l’accesso alla tutela legale anche ai cittadini con ridotte capacità economiche. Con ciò non voglio sostenere che nei confronti di chi non può permettersi un avvocato la giustizia amministrativa è diseguale (per meglio dire, “più restrittiva”), intendo solo dire che se il carabiniere si fosse presentato accompagnato da un avvocato la questione sarebbe stata trattata da altra Sezione dello stesso Consiglio e, forse, avrebbe avuto un esito diverso.
A tal proposito, mi viene in mente un caso gemello.
Il caso di un dirigente di P.S. che utilizzò per la propria difesa in un procedimento, atti d’ufficio, di cui aveva la disponibilità per ragioni inerenti il servizio d’istituto. Allo stesso venne inflitta una sanzione disciplinare “per aver utilizzato gli atti in questione senza averli ottenuti all’esito di un regolare procedimento di accesso e in violazione della riservatezza di fatti noti solo all’ufficio”. Ebbene, nonostante gli atti fossero addirittura classificati[9], in quanto inerenti la rotta di una nave militare statunitense, i giudici del Tar di Catania accolsero la domanda del dirigente volta all’annullamento della sanzione disciplinare. I giudici ritennero che l’omessa attivazione della procedura di accesso agli atti si risolvesse in un “inadempimento solamente formale, dal momento che gli atti erano nella disponibilità del dirigente, nonché dato che gli stessi atti dovevano necessariamente essere oggetto di ostensione, atteso il precipuo fine di difesa del dirigente” (Sent. n.121, 16 gennaio 2012, TAR Catania, III Sez.)[10].
Una tale sensibilità giuridica manifestata dai giudici catanesi, oltre ad essere in linea con lo spirito del Codice dell’ordinamento militare[11], riflette il principio secondo cui il diritto di difesa è un diritto “supercostituzionale” che per la c.d. “dottrina dei contro limiti” non è comprimibile nemmeno da norme comunitarie, da norme internazionali o da “non meglio specificate esigenze”[12] di sicurezza nazionale”.
Partendo da tutto quanto sopra esposto, rinnovo con forza la proposta[13] di trasferire tutta la giurisdizione del pubblico impiego al suo giudice naturale: il giudice ordinario del lavoro. Nelle more, auspico
– un intervento del Plenum del Consiglio di Stato volto a chiarire la portata dell’espressione “domande nuove purché connesse”, in particolare andrebbe chiarito quali tipologie di connessione siano in essa ricomprese;
– che non sia più consentito ai massimi vertici dei corpi militari il transito nell’organico del Consiglio di Stato. Data la durata dei processi amministrativi, potrebbe verificarsi, per esempio, che il (già) dirigente militare si ritrovi ad essere convenuto in giudizi sui quali i suoi nuovi colleghi sono chiamati ad esprimersi.
Non è escluso che una tale contiguità possa creare più di qualche imbarazzo.
Ritengo che se un giudice ordinario (che per formazione professionale è portato a privilegiare la giustizia sostanziale) si fosse occupato del nostro caso, probabilmente, avrebbe stabilito che il ricorso straordinario e i motivi aggiunti vertevano su comuni questioni di fatto e di diritto e sarebbe quindi pervenuto ad una decisione nel merito.
Lo stesso giudice ordinario (che per forma mentis è più interessato alla “trave” che alla “pagliuzza”) se avesse dovuto esprimersi in merito alla rilevanza disciplinare dell’estrazione di documenti necessari per la difesa, ritengo che si sarebbe posto la seguente domanda:
«Si poteva negare l’autorizzazione all’estrazione di copia di documenti non classificati e necessari per la difesa?»
E, probabilmente, si sarebbe dato la seguente risposta:
«NO. Dal momento che l’eventuale diniego sarebbe stato in contrasto con un diritto fondamentale ed inviolabile costituzionalmente garantito – qual è il diritto alla difesa – oltreché con l’art. 24 c. 7 L. 241/90, che garantisce il diritto di accesso agli atti per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici».
Per di più, e ciò a me pare assolutamente dirimente, gli atti acquisiti, asseritamente in maniera irregolare, sono rimasti nell’alveo di un procedimento gerarchico interno alla medesima amministrazione e, quindi, assolutamente non divulgati all’esterno, sicché i non meglio precisati interessi che l’autorizzazione avrebbe dovuto tutelare sono rimasti assolutamente integri.
Il giudice togato, di conseguenza, avrebbe considerato l’allegazione ad un ricorso gerarchico di documenti necessari per la difesa in assenza di autorizzazione una “mera irregolarità formale”. Irregolarità da sanare con un semplice provvedimento di “convalidata” a cura dell’Autorità destinataria del ricorso gerarchico, che è gerarchicamente superiore rispetto a quella che ha emanato il provvedimento impugnato e quindi in grado di meglio garantire la non divulgazione dei predetti documenti all’esterno dell’Amministrazione.
Post scriptum
Esprimo sentimenti di stima e rispetto nei confronti del carabiniere protagonista della vicenda e gli auguro una brillante carriera. Sarebbe inaccettabile, oltre che crudele, se la carriera gli venisse ritardata a causa di un provvedimento disciplinare nel quale è incorso nell’ambito dell’esercizio di un diritto garantito dalla Costituzione. Si precisa, a beneficio del lettore non militare, che i provvedimenti disciplinari confluiscono negli atti matricolari e hanno strascichi permanenti sulla carriera dei militari, con inevitabili ripercussioni di natura stipendiale. Ma tant’è.
D’altronde l’ordinamento statuale se continua a tollerare una disciplina militare che, in deroga ai principi costituzionali, rimane a tutt’oggi svincolata dal principio di legalità[14], lo fa perché ritiene – erroneamente (a parere di chi scrive) – che tale circostanza sia la più idonea a garantire la “massima coesione e neutralità[15]” dei corpi militari.
La disciplina militare, tuttavia, non è di per se un valore assoluto, ma è – e deve rimanere – lo strumento per raggiungere un fine: la coesione interna e la neutralità dei corpi militari.
Guai se la disciplina venisse usata come una clava per ridurre i militari in docili esecutori di un’altrui volontà alla quale sono tenuti a piegarsi.
Se così fosse, la disciplina, da strumento di coesione si trasformerebbe in mezzo di separazione dei militari dalla società civile.
Tale separazione priverebbe la società civile dei necessari anticorpi per contrastare eventuali ordini irricevibili che provengono dai terminali delle gerarchie (le autorità politiche), con le immaginabili conseguenze sul libero articolarsi della dialettica democratica, attraverso cui si stabiliscono i fini dello Stato.
Per vincere una criminalità sempre più infiltrata negli apparati dello Stato, più che di “yes men”, lo Stato ha bisogno di menti pensanti e che –all’occorrenza- sappiano essere anche critiche. Ha bisogno, in altre parole, che l’obbedienza militare sia leale e consapevole, piuttosto che cieca e assoluta[16].
Cleto Iafrate
Direttore del laboratorio delle Idee di Ficiesse
Per leggere gli altri contributi dello stesso autore clicca QUI.
[1] Per un approfondimento sulla tematica delle sanzioni militari di corpo, clicca sul seguente link: IL PARADOSSO DI UN’EUROPA PIU’ ATTENTA A FORME E DIMENSIONI DEI CETRIOLI CHE NON AL DIRITTO DI LIBERTA’ PERSONALE DEI CITTADINI MILITARI
[2] Lo prevede l’art. 43 del c.p.a.: “I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini”.
[3] Va precisato che si ha connessione soggettiva quando ci sono due ricorsi che vedono contrapposte le stesse parti, cioè ci sono gli stessi soggetti. Mentre la connessione oggettiva si ha quando l’atto successivo è diretta conseguenza dell’atto precedente. Per esempio, abbassamento delle note caratteristiche come conseguenza di una sanzione disciplinare, oppure, non idoneità all’avanzamento a seguito di sanzione disciplinare. E ancora, sanzione disciplinare, ulteriore sanzione disciplinare per gli stessi fatti e nell’ambito della stessa vicenda (o magari perché il militare ha impugnato la prima sanzione direttamente al TAR senza passare per la via gerarchica).
[4] Cfr., per tutti, Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2010, n. 1564; Id., sez. IV, 27.11.2010, n. 8251; Id., Sez. V, 17.01.2011, n. 202; Id., Sez. V, 14.12.2011, n. 6537.
[5] Cons.St., Sez. 4, Sentenza 4 giugno 2013, n. 03071: http://www.ricerca-amministrativa.it/RA/massima-Motivi-aggiunti-m-345.xhtml;jsessionid=b92cefecc51724a3eeef3481e062
[6] Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza del 26 agosto 2014 n. 4277, secondo cui “Vero è che, nella giurisprudenza più recente, si colgono talvolta anche impostazioni più liberali, favorevoli – in omaggio a esigenze di giustizia sostanziale – a riconoscere più cospicuo margine di operatività al ricorso cumulativo (ma sempre, si badi, in situazioni particolarmente complesse …). Si ritiene che il caso di specie presentava delle “situazioni di particolare complessità”, perché era stata comminata una sanzione disciplinare –amministrativa – nell’ esercizio di un diritto “supercostituzionale” –il diritto alla difesa-. Per un inquadramento “logico-sistematico” della vicenda, Cfr. con l’art. 4 L. 689/1981 “Cause di esclusione della responsabilità. Non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto … nell’ esercizio di una facoltà legittima …”; art. 51 C.P. “Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere, imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”.
[7] Avvocati abilitati alle Giurisdizioni Superiori, ovvero avvocati con particolari requisiti di anzianità e competenza.
[8] Quando è stato previsto il pagamento del contributo unificato anche per accedere a questo rimedio di giustizia. Una gabella che oggi corrisponde a circa la metà dello stipendio di un militare non graduato (650 euro, a cui vanno aggiunti i costi delle notifiche). E’ assurdo e inaccettabile che la “democrazia” evoluta del terzo millennio sia stata capace di sopprimere un diritto che risale addirittura ai tempi delle monarchie assolute.
[9] Per un approfondimento sulla tutela degli atti classificati clicca sul seguente link: http://www.ficiesse.it/home-page/11000/il-segreto-di-stato_-lo-‘spauracchio’-di-giornalisti_-militari_-poliziotti-e-agenti-segreti-_nota-a-commento-di-walter-bazzanella_—di-cleto-iafrate
[10] Per un commento sulla vicenda, clicca sul seguente link: http://www.avvocatofoggia.eu/militari-e-diritto/e-legittimo-luso-di-atti-dufficio-in-funzione-del-diritto-di-difesa/
[11] D.Lgs. 66/2010, art. 1466: “L’esercizio di un diritto ai sensi del presente codice e del regolamento esclude l’applicabilità di sanzioni disciplinari”.
[12] Sull’accezione della locuzione “non meglio specificate esigenze di sicurezza nazionale”, rimando al link di cui alla nota n. 9.
[13] Proposta già avanzata in occasione del V congresso nazionale di Ficiesse. Per un approfondimento della tematica, clicca sul seguente link: http://www.ficiesse.it/home-page/9972/contributo-di-cleto-iafrate-al-va-congresso-nazionale-di-ficiesse_–riforma-costituzionale_-la-costituzione-del-1947-non-esiste-piu_-sostituita-per-un-uomo-solo-al-comando-%E2%80%93-di-cleto-iafrate
[14] Per un chiarimento sul punto, si rimanda al contributo riportato in nota n. 1.
[15] L’espressione è ripresa dalle motivazioni della sentenza n. 449/99 con cui la Corte Costituzionale ha negato ai cittadini-militari il diritto di costituire associazioni a carattere sindacale. Per un approfondimento sulla tematica, clicca sul seguente link:
SI POTEVA NEGARE UN DIRITTO SOGGETTIVO CON MOTIVAZIONI PRIVE DI FONDAMENTI GIURIDICI?
[16] Per un approfondimento sulle problematiche connesse all’obbedienza militare, si rimanda al seguente contributo: Obbedienza, ordine illegittimo e ordinamento militare
(articolo sottoposto a referaggio con il metodo, cosiddetto, a double-blind peer review).