Prostitute violentate in caserma: sottufficiale condannato a pagare 25mila euro
Il prezzo dell’abuso: l’Arma tradita dall’interno
Una sentenza durissima, destinata a fare scuola: la Corte dei Conti ha condannato un ex maresciallo dei Carabinieri della Tenenza di Pero, a risarcire 25.000 euro al Ministero della Difesa per danno d’immagine all’Arma.
Un comportamento definito dai giudici come “abuso del potere”, che ha causato perdita di prestigio per l’Istituzione e ha alimentato la sfiducia dei cittadini verso le forze dell’ordine.
2012: Prostituzione, ricatti e caserma
I fatti risalgono a marzo 2012, quando il sottufficiale e un appuntato finiscono in manette. L’accusa è pesante: secondo il PM Giovanni Polizzi, i due militari avrebbero costretto due giovani prostitute romene a subire rapporti sessuali non consenzienti, minacciandole di trattenerle in caserma per l’intera notte con la scusa del fotosegnalamento.
L’inchiesta parte dalle dichiarazioni spontanee di una delle vittime, raccolte nel corso di un’altra indagine su abusi simili compiuti da alcuni finanzieri. Quelle parole innescano un terremoto.
Un processo lampo e una condanna esemplare
Solo quattro mesi dopo, la Procura richiede e ottiene il giudizio immediato per i due carabinieri. In primo grado, il sottufficiale viene condannato a 7 anni di carcere per violenza sessuale e concussione, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La sentenza dispone inoltre:
- il pagamento in solido di 20.000 euro al Ministero della Difesa,
- e di 30.000 euro alle vittime.
La Corte d’Appello rivede la pena, portandola a 6 anni e 8 mesi, ma la Cassazione annulla con rinvio, e infine la condanna viene definitivamente fissata a 6 anni e 4 mesi.
Nel frattempo, il Ministero dispone la perdita dello status di militare.
La battaglia contabile: prima la prescrizione, poi il ribaltone
Nel maggio 2021, entra in scena la Procura erariale, che chiede il risarcimento per danno d’immagine subito dall’Arma. Ma la Corte dei Conti assolve l’ex maresciallo per intervenuta prescrizione. Sembra la fine.
Invece, nel 2024, arriva la svolta: la terza sezione centrale d’appello ribalta tutto e ordina la prosecuzione del giudizio. Il 23 dicembre 2024, viene depositato un nuovo atto di citazione, con richiesta di condanna al pagamento di 31.221,90 euro.
L’ex maresciallo si difende: “Poca eco mediatica, nessun allarme”
A.C. tenta di smontare l’accusa di danno d’immagine, sostenendo che:
- la vicenda ha avuto scarsa risonanza sui media,
- e che non vi è prova dell’“allarme” diffuso nell’ambiente della prostituzione.
Inoltre, sottolinea che ha già versato 20.000 euro in base alle condanne penali, e che, in quanto “semplice maresciallo”, non rivestiva un ruolo apicale nella gerarchia dell’Arma.
La condanna definitiva: 25mila euro per l’onore violato
I giudici non accolgono la linea difensiva. Nella sentenza si legge chiaramente che avrebbe approfittato della sua posizione di potere per fini egoistici, compromettendo la credibilità e l’immagine dell’Arma.
Nonostante il grado non elevato, il comportamento del maresciallo ha generato “una perdita di prestigio” e ha minato la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
La Corte stabilisce così una condanna definitiva al pagamento di 25.000 euro, ritenendo proporzionato l’importo alla gravità dell’offesa arrecata.
Una ferita aperta nelle Istituzioni
Il caso resta un simbolo doloroso del potere tradito, un esempio di come la divisa non garantisca sempre integrità. Quando chi è chiamato a proteggere i cittadini diventa carnefice, il danno non è solo per le vittime dirette, ma per l’intera collettività.
E ora, anche l’Arma chiede il conto.
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