POLIZIOTTI E MILITARI, PERDONO LA PATENTE PERSONALE SOLO DOPO LA SENTENZA DI CONDANNA
Agenti, vigili e militari, se provocano un incidente anche grave mentre guidano un veicolo di servizio, non rischiano di perdere la loro normale patente civile. Almeno fino al momento in cui saranno condannati penalmente per il reato di omicidio stradale o di lesioni personali stradali. Lo chiarisce una circolare del ministero dell’Interno, che dà conto del parere del Consiglio di Stato sulla delicata questione. In sostanza, fino alla condanna vale il principio secondo cui i pesanti provvedimenti – anche cautelari – da applicare alla patente in caso di incidente grave riguardano esclusivamente la licenza di guida di servizio.
La circolare – protocollata col numero 300/A/3524/17/109/41 e datata 28 aprile – parte dall’interpretazione, confermata dal Consiglio di Stato, secondo cui la nuova legge sull’omicidio stradale (la 41/2016) «nulla ha sostanzialmente innovato rispetto al regime previgente». Il regime è quello previsto dagli articoli 222 e 223 del Codice della strada, che prevedono sanzioni amministrative accessorie a reati stradali (soprattutto omicidio e lesioni) e riguardano sostanzialmente la patente, che viene ritirata, revocata o sospesa anche subito dopo il fatto, indipendentemente dall’esito del processo. Sono quindi sanzioni che possono essere irrogate, secondo i casi, sia subito dal prefetto sia dal giudice con la successiva sentenza di condanna per i reati commessi.
Ecco uno stralcio del parere del Consiglio di Stato
“Fermo restando che il titolare della patente, sia essa militare o civile, è tenuto al rispetto delle norme del Codice della Strada nell’interesse superiore alla sicurezza della circolazione, il quadro normativo prima delineato, a giudizio della Sezione, depone per la separazione tra i procedimenti che riguardano la patente militare, o patente a questa assimilata, e la patente civile. Le norme prima richiamate – frutto anche di una stratificazione legislativa avvenuta nel tempo – depongono per l’assenza di ogni forma di automatismo, di tipo sospensivo o revocatorio, che produca effetti anche in ambito civile quale conseguenza diretta ed immediata della violazione e, dunque, della sospensione o revoca della patente militare per fatti avvenuti durante il servizio e con l’autovettura di servizio.
Militano in tal senso diversi argomenti.
In primo luogo va evidenziato che, come rilevato dal Ministero, l’articolo 138, comma 12, C.d.S. – nello stabilire che “la patente di guida è sospesa dall’autorità che l’ha rilasciata, secondo le procedure e la disciplina proprie dell’amministrazione di appartenenza” qualora il militare guidi un veicolo immatricolato con targa civile – manifesta chiaramente l’intenzione di tenere separati i due titoli abilitativi e i relativi procedimenti che portano eventualmente alla sospensione.
In secondo luogo la “separazione” tra patente militare e patente civile emerge da tutta la disciplina stabilita dall’articolo 138 C.d.S. che, ad esempio, stabilisce che “le forze armate provvedono direttamente nei riguardi del personale in servizio …a) all’addestramento, all’individuazione e all’accertamento dei requisiti necessari per la guida, all’esame di idoneità e al rilascio della patente militare di guida, che abilita soltanto alla guida dei veicoli comunque in dotazione delle Forze armate”.
In terzo luogo giova osservare che tale separazione risponde alla necessità che le amministrazioni militari, e quelle a queste equiparate, valutino autonomamente le condizioni per il rilascio del titolo abilitativo, o per la sospensione, senza alcuna interferenza con l’autorità amministrativa preposta al rilascio, revoca o sospensione della patente civile essendo diverse le ragioni della circolazione “per motivi di servizio” rispetto a quelle legate alle “sole” esigenze connesse alla libertà di movimento. Così come peraltro precisato dal Ministero richiedente, infine, deve giungersi a diversa conclusione nel caso in cui il titolare della patente abbia riportato, in esito al giudizio in sede penale, l’irrogazione della sanzione accessoria della sospensione della patente da parte del giudice. Al riguardo la Corte di Cassazione penale, con sentenza 21 gennaio 2013 n. 3119 ha stabilito: «può in conclusione affermarsi, nell’ottica di un’interpretazione sistematica e della ratio che sottende la normativa di cui al D.M. 11 agosto 2004, n. 246, che, in linea di principio, in caso di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente di guida, disposte dal giudice penale à sensi dell’art. 222 C.d.S., commi 1 e 2, nelle fattispecie più gravi in cui, alle violazioni delle disposizioni del codice della strada, “derivino danni alle persone”, queste colpiscono patente ordinaria e patente di servizio. Mentre in casi diversi (e meno gravi) di violazioni del codice della strada commesse alla guida di veicoli di servizio vige il diverso regime della non estensione delle suddette sanzioni amministrative accessorie alla patente ordinaria, pur restandone ferma l’applicabilità alla patente di servizio, pure insuscettibile dell’applicazione del disposto dell’art. 126 bis C.d.S., egualmente inestensibile alla patente ordinaria in caso di decurtazioni dei punti per effetto di violazioni della norma commesse da titolare della patente di servizio”.