“(…)PERCHÉ SE NON LO FAI CON PASSIONE È UN LAVORO DI MERDA!”
Ogni volta che in servizio muore un collega il rischio è la banalizzazione, la retorica, non esiste cosa più banale, normale, umana e naturale della morte.
Cadere quindi nello scontato diventa esercizio facile, il cordoglio, la commozione, le frasi di circostanza tutto diventa più triste di quanto effettivamente non lo sia già.
Commentare la morte di un caduto nell’adempimento del dovere è un esercizio che ho praticato spesso in questi anni e ogni volta l’amarezza aumenta perché col tempo che passa aumenta la consapevolezza di quel negato rispetto che, in fondo, il sistema ci riserva e che ci ha sempre riservato.
Perché ingaggiare un inseguimento, colluttare con un ladro, ammanettarlo, portarlo di fronte a un giudice e vederlo libero ancor prima di aver chiuso il verbale di arresto rende la morte dell’agente Pischedda Francesco, deceduto per essere precipitato in un dirupo durante una brutta colluttazione con un fuggitivo, la paradigmica espressione di quanto poco sia il rispetto per chi indossa la divisa.
Perché gli sputi, gli insulti, le parole di minaccia alla tua persona o a quella dei tuoi familiari non sono così gravi quanto il vedere il frutto del proprio sacrificio e del proprio rischio vanificato da quelle leggi, metodi, mentalità, cultura che pone il delinquente sempre e comunque in una posizione di eccessiva tutela.
Chi come me ne ha arrestati tanti, ma sempre troppo pochi rispetto a quanti dovrebbero essere fermati, vede nella morte di Francesco l’ennesimo insulto, l’ennesima resa, l’ennesima disfatta di quel metodo, di quel sistema che rimane paralizzato di fronte al dilagante malaffare, che colpisce sempre e solo la povera gente, quella che merita e meriterà per sempre la strenua difesa di chi indossa una divisa.
Francesco a soli 28 anni lascia una splendida compagna, una bambina di 10 mesi, lascia una vita intera per un meraviglioso giuramento che troppo spesso non riusciamo a rendere solenne nei fatti, logorandoci ogni giorno per questo.
Francesco Pischedda non è solo un caduto, è una testimonianza, fatta di abnegazione, senso del dovere, di noncuranza dei reali risultati, chissà quante volte nonostante la sua giovane età si è ripromesso di non rischiare più di quanto davvero necessario, visti poi i risultati concreti che si ottengono… ma quando sei lì, su quelle pattuglie, con quella divisa indosso l’unico modo per sentire davvero l’utilità del tuo esistere è prendere coloro i quali mettono in discussione la sicurezza dei tuoi concittadini….fregandotene di quelle leggi, degli avvocati e dei giudici che le applicheranno.
Francesco non è un eroe, Francesco è una persona che ha creduto nel suo mestiere, nel suo lavoro, nel valore di quella divisa che ha indossato sino all’ultimo alito di vita, Francesco non può essere confinato nei rivoli della retorica ma nelle maglie della passione, quella vera, quella che ci distingue dagli animali che nulla fanno senza motivo, perché, parafrasando il prefetto Gabrielli: “Noi facciamo il lavoro più bello del mondo ma se non lo fai con passione è un lavoro di merda”.
Onore a te Francesco, grazie per la tua passione.
In Giacca Blu – Michele Rinelli