Peculato per il poliziotto che vende online stivali e abiti di proprietà della Ps
Scatta il peculato per il poliziotto che, fatto il cambio di stagione, pensa bene di mettere gli abiti invernali e gli stivali Jolly da motociclista in vendita su Subito.it. I beni appartengono, infatti, al dipartimento di pubblica sicurezza e il pubblico ufficiale non può appropriarsene e, tanto meno, farne oggetto di commercio. Nello specifico però le cose per il poliziotto si sono messe piuttosto bene. L’imputato era stato condannato dalla Corte d’Appello per il delitto solo nella forma tentata, e solo in relazione agli stivali da moto. Ancora meglio l’epilogo, perché per i giudici di legittimità è applicabile la scriminante della desistenza volontaria. La Cassazione (sentenza 5397) ha, infatti, accolto la tesi della difesa sul pentimento e sulla desistenza spontanea dall’”affare”. Mentre, per i giudici di merito, la decisione del ricorrente di rimettere gli stivali nella scarpiera era dovuta al fatto che il suo comandante era stato uno dei primi a vedere l’annuncio e lo aveva denunciato alla Procura della Repubblica.
La desistenza volontaria
Per la Suprema corte non è invece attendibile la prima “scusa”, fornita dalla difesa, secondo la quale il poliziotto aveva messo l’annuncio solo per sondare quanto andavano di moda quel tipo di calzature. Una valutazione del gradimento, che poteva integrare l’ipotesi della truffa ma non del peculato, visto che poi gli stivali della Ps non sarebbero stati ceduti. La Cassazione però considera questa versione «non solo insensata, ma del tutto implausibile, visto che all’offerta in vendita, documentata da fotografie e da una lunga descrizione mei dettagli delle calzature, seguiva il pezzo stabilito in 110 euro». L’ipotesi della difesa, tra l’altro non supportata neppure dal diretto interessato, non passa dunque il vaglio dei giudici di legittimità, che credono invece alla desistenza volontaria.
Ad avviso della Suprema corte, i giudici territoriali hanno negato la causa di non punibilità, convinti che l’imputato avesse rimosso l’annuncio solo perché il suo comandante aveva visto il post il giorno stesso in cui era stato pubblicato, e aveva immediatamente informato la procura della Repubblica. Una conclusione non provata.
Nulla dimostra, infatti, che l’imputato, condannato a cinque mesi e 10 giorni di reclusione, fosse a conoscenza dell’iniziativa del suo ispettore capo. La condanna è dunque annullata e la Corte territoriale dovrà formulare un nuovo giudizio.