Forze di Polizia

NON MERITIAMO L’IMPEGNO DEL CADETTO EMANUELE, FIGLIO DELL’AGENTE UCCISO DALLA MAFIA

Stamani non voglio scrivere del personaggio che racconta di aver vissuto con Babbo Natale mentre passava l’infanzia con Toto’ Riina. Non voglio scrivere neanche dell’immagine ignobile del mostro latitante seduto davanti alla tv come un pensionato mentre guardava il Tg con le immagini di Capaci a pochi chilometri da lui. Non voglio scrivere neanche di chi tira volate ignobili a delinquenza mafia e malaffare spacciandole per giornalismo e che credevo avesse già toccato ogni fondo possibile con l’invito ai Casamonica. E’ quanto si legge su l’Huffington Post.

Oggi solo una cosa resta al netto di tutta questa ulteriore orrenda vicenda mediatica con palcoscenico Rai di cui, onestamente, in tanti paghiamo un canone, riconvincendoci ogni volta a crederlo un servizio pubblico. Resta Emanuele.

Sì…Emanuele, Emanuele Schifani.

È stato durissimo accettare che avrebbe partecipato alla trasmissione ieri sera. ComeFondazione Caponnetto ci eravamo espressi in mattinata con un comunicato forte del Presidente Calleri sulla trasmissione.

La notizia poi della partecipazione di Emanuele Schifani mi era arrivata come una mazzata e avrei voluto fare non so che cosa per impedire che partecipasse mischiandosi a tutta quella orrenda pantomima, legittimante un confronto che non può e non deve esserci mai perché con la mafia non ci si confronta né si discute.

Ho visto, però, la trasmissione. Mi sono sorbita tutta l’ignobile intervista per poter vedere fino in fondo dove si potesse arrivare. Poi l’inquadratura su Emanuele. Emanuele con la sua divisa, la sua calma eleganza nei gesti e nel porsi. Le sue parole misurate e, soprattutto, le sue pause…e i suoi silenzi come risposte che hanno detto più di mille e mille parole.

Forse non doveva andare Emanuele, è vero. Ma, vederlo lì, ha segnato la stratosferica, abissale differenza che può esserci fra Bene e Male, fra Correttezza e Collusione, fra Impegno e Ignavia. Me lo immagino consigliarsi con sua madre Rosaria sul se andare o no in quella trasmissione…e mi immagino Rosaria (sì, Rosaria che in quella chiesa accusava dal pulpito i mafiosi davanti alla bara di suo marito) immagino Rosaria aver detto a “quel” figlio di poter andare dove avesse deciso lui. Perché uno come lui può”.

Uno come Emanuele può stare nelle feci e restare un diamante. Comunque. Emanuele Schifani che dice di essere nato con la divisa e di avere sempre, nonostante tutto “respirato aria di Stato”. Emanuele che con amara ironia si rammarica per il pomeriggio di bellezza rovinato al figlio del boss all’arrivo della notizia della strage di Capaci, notizia che ne interruppe i divertimenti in una sala giochi di Palermo.

Emanuele che si ferma, fa una pausa lunga, perde lo sguardo altrove e tace per un po’ alla domanda su quale siano le ragioni che si è dato per la morte di suo padre. Emanuele che risponde con un “le ragioni non le so decifrare…” ma che non ci incanta nonostante la sua correttezza e la sua composta risposta perché, è evidente, che quelle “ragioni” le ha chiare benissimo.

Ecco..dell’orrenda serata di ieri sera io salvo il ricordo e l’immagine di Emanuele nella sua splendida divisa. Emanuele saggio, misurato e anche a tratti commosso pur non volendolo mostrare. Penso a sua madre Rosaria, che ha fatto un gran lavoro.Splendido, e la ringrazio. La ringrazio per non essersi fatta prendere dall’odio e per aver saputo trasformare tutta la sua forza e il suo coraggio nell’educare un ragazzo così, anche certamente (e lo scrivo da donna) scegliendosi dopo Vito un compagno all’altezza di tanto ricordo.

Non so se ce lo meritiamo un Emanuele, oggi. Così come tutti i giovani che come lui ancora si impegnano e “ci credono”. Come non so se ci siamo meritati prima un Vito, tutti gli uomini delle scorte, così come un Giovanni Falcone, un Paolo Borsellino e tutti gli altri. Non so se ci meritiamo tutto questo.

A oggi, l’unico libro che doveva essere considerato e letto era quello dell’asfalto di Capaci. Libro fatto di lamiere divelte e di sangue per strada. Continuo a pensare che quell’asfalto non sarebbe mai dovuto essere rimesso a posto, che doveva rimanere “così”. Metaforico e sanguinante libro, quello sì. Aperto e leggibile a tutti.

C’è però, oggi, Emanuele. Emanuele con la sua voglia di crederci, imparare e continuare nel lavoro di Falcone. Per questo sta studiando, si sta preparando. A noi resta “solo” il compito di tenere gli occhi aperti, di continuare a cercare di capire e interpretare. Resta “solo” essere degni di tanto amore e tanta seria e non seriosa compostezza.

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