NIENTE CIBO PER CHI PREPARA IL PRANZO AL PERSONALE DEL COMANDO NRDC – ITA DI SOLBIATE OLONA
Il Sindacato Militare Libera Rappresentanza ha recentemente portato alla luce una situazione paradossale che sta interessando il personale addetto alla mensa della Base Militare Nato di Solbiate Olona.
I Fatti
Al personale che svolge servizio presso la mensa della caserma Ugo Mara effettivo alla Brigata di Supporto al (HQ) NRDC-ITA ed al 33° Reggimento “AMBROSIANO” di Solbiate Olona stanno arrivando una serie di richieste di recupero somme che variano dalle 200,00 euro alle 3.000,00 euro circa.
Le motivazioni poste alla base di tale richiesta di denaro al personale sarebbero da ricondurre al fatto che non gli spetterebbe la pausa pranzo pur lavorando per 8 ore continuative.
Con specifiche disposizioni, infatti, i vari Comandanti di Brigata che si sono susseguiti nel tempo, anziché prevedere che il personale effettuasse un orario di lavoro ed un servizio atto a godere del diritto alla pausa pranzo sancita dalle norme, imponevano al personale un orario del tutto diverso da quello consueto, ovvero, dalle ore 07:00 alle ore15:00.
Fin qui tutto normale (o quasi) infatti, ISPEDIFE dopo apposita ispezione faceva notare che una direttiva interna prevede la non fruibilità della pausa e del pasto gratuito qualora l’orario di lavoro non si protragga almeno fino alle 15:30 (indipendentemente dall’orario di inizio servizio).
Da qui in poi il “panico” di chi fino a quel momento non eccepiva alcun ché sul fatto che il personale si segnalasse come di consueto per usufruire del vitto gratuito in orario di servizio.
Questa contraddizione di norme, (da un lato una ricca giurisprudenza di sentenze della Corte di Cassazione e dall’altra una direttiva interna, la 4027), che proprio per il concetto della gerarchia delle fonti doveva far disapplicare la direttiva in parola, ha fatto propendere il Comandante di Corpo, datori di lavoro a chiedere ai militari di ripagarsi il pranzo che gli sarebbe dovuto spettare.
La gestione della pausa pranzo infatti, è in capo al datore di lavoro che deve tenere in considerazione le esigenze organizzative da una parte e quelle del dipendente dall’altra, il quale, come noto, non può rinunciare alla stessa. Invero, il Decreto Legislativo 66/2003 all’articolo 8, comma 1, sancisce l’obbligatorietà della pausa pranzo qualora l’orario di lavoro giornaliero sia superiore alle 6 ore.
Nel caso di specie, l’ordine di servizio, se non considerato per l’appunto ricadente all’ interno della casistica del “servizio comandato” ove necessità svolgerlo entro la fascia oraria del pasto per averne diritto, (indipendentemente dalla durata dello stesso), contrasterebbe con quanto sancito dal D.L. 66/2003 e andrebbe quindi disapplicato.
Un ulteriore spunto di riflessione si ha esaminando quanto declarato dalla Corte di Cassazione recentemente con l’ordinanza n. 23255 del 31.07.2023, la quale ribadisce il principio di diritto secondo cui: “l’attribuzione del buono pasto (quale agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente) è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato”.
Nel caso di specie appare grottesco lavorare in cucina e stare digiuni dalle 7 alle 15 non prevedendo il pasto spettante, il mancato pasto, un buono pasto che sia. Lavorare in mensa per 8 ore, cucinare per i commilitoni e attendere di tornare a casa per consumare un pasto.
Consta sottolineare che molti di questi pagamenti richiesti al personale che aveva il diritto ad usufruire della relativa pausa, sono relativi anche al periodo di emergenza covid dove i colleghi in servizio alla mensa della caserma Ugo Mara hanno sempre garantito i pasti a tutto il personale impiegato nei drive through dei tamponi e nella campagna vaccinale contro il virus 2020 e 2021.
L’Associazione Sindacale Libera Rappresentanza a tutela dei propri iscritti aveva sollevato il problema già nel dicembre scorso e ribadito in gennaio, constata che ad oggi nulla è pervenuto in merito ad una risoluzione bonaria della questione. Paradossalmente, anziché sospendere il recupero delle somme ed attendere un’analisi accurata della direttiva 4027 rispetto a norma di rango superiore, il datore di lavoro (che tecnicamente avrebbe esso dovuto esercitare il controllo preventivo anziché accorgersene dopo 5 anni e a seguito di ispezione) continua a chiedere al CNA-ESERCITO il recupero forzato mettendo in mora i mal capitati militari.
Da circa un anno ed a seguito dell’ispezione, ai colleghi è stato prolungato l’orario di lavoro di 30 minuti per ovviare alle contradizioni di una direttiva che necessità invece di essere modificata solo che nessuno parrebbe ancora prendersi la responsabilità del pregresso, preferendo scaricare sul personale impiegato a mensa suddette errate applicazioni delle norme.
Sembrerebbe una barzelletta solo che c’è poco da ridere…. Il personale si è trovato lo stipendio fustigato fra trattenute e conguagli…. Famiglie intere di militari rimasti con poche centinaia di euro di stipendio.
E per questi motivi che il Sindacato Libera Rappresentanza dei Militari in ultima analisi e non ricevendo adeguate risposte che tutelino le condizioni di decine di famiglie di commilitoni, ha dato mandato ai propri legali convenzionati, ed in particolare allo Studio Legale Marro di Milano, di istruire e adire le vie legali in tutte le sedi opportune al fine di tutelare gli interessi dei propri iscritti e il buon diritto.
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