Esteri

Nepal in fiamme: crolla il governo, esplode la piazza

Dal regicidio alla Repubblica fragile

Il Nepal, stretto tra India e Cina, torna al centro della cronaca politica internazionale. Dopo Bangladesh e Sri Lanka, anche Katmandu defenestra il proprio governo, terzo caso in pochi anni nella regione. Un destino segnato da fragilità istituzionali che affonda le radici nella storia recente: la strage reale del 2001, con l’assassinio di 19 membri della famiglia, aprì la crisi che nel 2008 portò all’abolizione della monarchia e alla proclamazione della repubblica. Da allora, un sistema parlamentare sancito dalla Costituzione del 2015, ancora instabile e spesso corrotto, tenta di reggersi tra coalizioni cangianti e pulsioni autocratiche.

La rivolta che travolge Oli

L’onda lunga della protesta nazionale richiama alla memoria la Loktantra Andolan del 2006, ma oggi i protagonisti sono i giovani nepalesi, esasperati da corruzione e disoccupazione. L’episodio scatenante? Un temporaneo blocco dei social, subito rimosso. Troppo poco per spiegare la furia che ha portato all’assalto al Parlamento, alla distruzione dell’edificio e alle dimissioni forzate del premier KP Sharma Oli. L’esercito presidia Katmandu, vige il coprifuoco, i voli sono bloccati. La capitale vive una paralisi da stato d’assedio.

Comunisti divisi, società esasperata

Il panorama politico nepalese è dominato dai partiti comunisti, divisi tra l’ala maoista e quella marxista-leninista. Uniti nella guerra civile (1996-2006) contro la monarchia, oggi si combattono tra loro. Oli, leader del Partito comunista nepalese (marxista-leninista unificato), aveva un patto di rotazione del potere con il Partito del Congresso, ormai saltato. La piazza, però, non distingue più: l’assalto alle sedi comuniste segna il rigetto popolare di una classe dirigente accusata di nepotismo e autoreferenzialità. Emblema i cosiddetti nepokids, giovani privilegiati figli della nomenklatura, lontani anni luce da una generazione con 20% di disoccupazione giovanile.

Katmandu tra Pechino e New Delhi

La caduta di Oli ha anche un risvolto geopolitico. Accusato di essere troppo vicino alla Cina e alla sua Belt and Road Initiative (BRI), il premier uscente aveva promesso equilibrio tra i due giganti confinanti, India e Cina. Ma la realtà vede Pechino sempre più assertiva, New Delhi diffidente e il Nepal ridotto a vaso di coccio tra due vasi di ferro. La crisi interna diventa così terreno di scontro per le sfere di influenza regionali.

Un futuro sospeso

Mentre il PIL cresceva del 3,9% nel 2024, la rabbia popolare non si placa. Le dimissioni di Oli non bastano, l’esercito minaccia di reprimere con la forza. Il vuoto di potere si allarga, l’instabilità politica si cronicizza. Il Nepal, repubblica fragile e paese di montagna da sempre in bilico, affronta ora un bivio drammatico: consolidare una democrazia ancora acerba o scivolare in una nuova spirale autoritaria.


 

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