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MILITARI, LA TRUPPA È SENZA DIRITTI, DATE PIÙ SOLDI AI GENERALI

(di Toni de Marchi)
– “Non tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e non tutti sono
necessariamente uguali davanti alla legge. La Repubblica può imporre ostacoli
di ordine economico e sociale che limitino la libertà e l’uguaglianza di alcuni
suoi cittadini”. Ve lo immaginate se l’articolo 3 della Costituzione fosse
questo? Lo so, qualcuno dirà che sono panzane. Ma facciamo finta, tanto per
assurdo? 

Il solito villico,
che ogni tanto ci viene in soccorso per capire il mondo, obietterà: chi
potrebbe anche solo immaginare una bestialità simile? Beh, a quanto pare
qualcuno delle alte greche della Difesa un pensierino deve averlo
fatto. Per carità, non sulla Costituzione: per fortuna è fuori della loro
portata. Ma ci stanno provando per quanto gli è consentito (non dovrebbe
esserlo, ma se i ministri sono quelli che conosciamo…) su quella non piccola
parte di italiani che porta una divisa. 
Così, nei giorni
scorsi agli spero esterrefatti rappresentanti dei militari è giunto un documento firmato
dal generale di divisione aerea Franco Marsiglia, capo del 1° Reparto
personale dello Stato maggiore della Difesa. Una lettera dall’oggetto
anodino: “attuazione dell’articolo 19 della legge…” eccetera (il testo lo
potete leggere sul sito de Il nuovo giornale dei militari). Ma se
l’oggetto può sembrare inoffensivo, la lettura delle righe successive fa
cambiare presto idea: una sequela di “divieto di, limitazione a, obbligo di,
sottoposizione a, subordinazione a” e via assoggettando. E neppure una
sbirciatina sui diritti. Il tutto completato, se ce ne fosse bisogno,
dall’elenco delle cose che devono fare i militari: guerre (ma va?), usare armi
(difficile da immaginare se non l’avessero scritto), esporsi al pericolo fino
allo “estremo sacrificio” (le virgolette sono loro, non mie, l’estensore della
norma è evidentemente scaramantico: chissà se tiene un cornetto sulla
scrivania?). 
Andiamo con ordine.
Il testo che il generale Marsiglia (ma immagino non sia una sua iniziativa
solitaria) manda al Cocer per un parere è la proposta di un
disegno di legge di attuazione dell’articolo 19 di una legge del
2010, la 183 dal titolo lunghissimo: Deleghe al Governo in
materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di
incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di
controversie di lavoro. Cinquanta articoli dove, tra i lavori usuranti,
gli istituti universitari speciali, la riforma dei congedi e dei permessi, la
sottrazione alle procedura esecutive dei fondi del ministero del lavoro
(ovvero: se lo Stato non vi paga non speriate di pignorarlo), è infilata
una “specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia” e anche
dei pompieri. 
Questa storia della
specificità del cosiddetto comparto difesa e sicurezza è una vecchia carota
fatta via via annusare da più o meno tutti i governi a militari e poliziotti.
“Buoni, vi diamo la specificità” era il ritornello di fronte alle
rivendicazioni. Con l’idea, non detta ma immaginificamente suggerita, che si
sarebbe aperta la cornucopia: carriere, promozioni. E denaro. Soprattutto
denaro. 
Diciamocelo: a me
non piace il baratto diritti-soldi. Ma se già alcuni diritti sono
compressi e mi danno un po’ di soldi, perché no? D’altronde tutta
l’operazione ottanta-euri-ottanta non è questo? C’hai i
figli né-né, la moglie disoccupata, il nonno non si sa, quattro bollette
scadute. Peggio sarebbe difficile. Tanti anni fa avresti
rivendicato l’agibilità politica, oggi ti accontenti dei pochi e subito.
Così questo
articolo 19, che al comma due fa tintinnare non le sciabole (per fortuna) ma
schei, bezzi, denari dicendo “con  i quali  si  provvede altresì
a stanziare le  occorrenti risorse finanziarie”, lascia presagire un
qualche baratto. Forse immondo, ma certo concreto. Tanto che da quattro anni in
molti hanno chiesto di dare attuazione alla legge. E così sembra essere,
finalmente.
Senonché, sulla
bozza mandata al Cocer, di soldi non v’è traccia: nisba, niet, nulla. Ma è
piena invece di diritti castrati o negati. Puntigliosamente elencati e
ribaditi, come se non bastassero le norme che già esistono ad abundatiam.
Tra i militari alcuni hanno più volte messo in guardia contro il rischio
dell’improprio scambio. Guido Bottacchiari, tenente colonnello e
vice-presidente del Cocer dell’Aeronautica, dice che “personalmente, ho sempre
considerato la battaglia per la norma sulla specificità come un articolato
disegno di restaurazione e un progetto neo-isolazionista del mondo militare.
Svendere diritti per qualche ipotetico vantaggio economico è stato e,
soprattutto, rimane opportuno?”. Bottacchiari vede nitidamente un
“rischio di restaurare una sub-cultura di stampo ottocentesco che prevede
la separazione dal resto del mondo civile che credo non giovi e non sia
necessaria al Paese”.
Qualche anno fa, ma
potrebbe essere oggi, Francesco Dall’Ongaro scriveva “Quando la gente non
aveva farina,/lo re diceva: mangiate pollame”. Una cinquantina d’anni dopo,
evidentemente finiti sia il pollame che la farina, il generale Fiorenzo Bava
Beccaris faceva sparare cannonate sui manifestanti milanesi: “Il feroce
monarchico Bava/gli affamati col piombo sfamò”. Oggi, svelato l’inganno
del pollame della specificità, bloccati da anni gli stipendi con la
scusa delle compatibilità di bilancio (vale naturalmente per i
militari, ma anche per gli altri del pubblico impiego), è tempo di tirar fuori
l’artiglieria. E ribadire ex lege che di fronte a nessun
diritto i militari possono (articolo 4): andare in autobus gratis se in
divisa e muniti di apposita autorizzazione, detrarre il 19 per cento delle
spese per le divise dal reddito imponibile, chiedere (ma non necessariamente
ottenere) l’avvicinamento al coniuge se anch’ella/egli militare e in altra
città. Azz, signor tenente. Che specificità.
Scusate. Accecato
dalla mia nota faziosità ho omesso di citare un passaggio fondamentale:
“perequazione delle retribuzione del personale”. Beh, qualcosa arriva, allora?
Dipende, bisogna leggere tutto: “perequazione delle retribuzione del
personale dirigente” con quelle di prefetti e diplomatici. Se non fosse che
queste frasi stanno in un documento ufficiale, marcato in bassoDigitally signed
by Marsiglia Franco, uno potrebbe agevolmente pensare a una farsa di Macario o
a una commedia genovese di Gilberto Govi e le sue paghe con mugugno o
senza mugugno.
Al momento di
mugugni non ne ho sentiti. Difficile che arrivino dai Cocer dei militari.
Quello dell’Esercito è presieduto dal generale-poeta Paolo “Wolf” Gerometta.
Che oltre a essere potenzialmente un diretto beneficiario della legge, è anche
Capo del 1° Reparto dello Stato maggiore dell’Esercito, cioè il capo del
personale per dirla in termini aziendali. Dunque è capo del personale e capo
del sindacato (il Cocer, più o meno). Simbiosi angelica. In confronto il
conflitto di interessi del Berlusca era robetta da educande.
Non che alla Marina
vada meglio, anzi. Il presidente del Cocer della Marina, contrammiraglio Pietro
Luciano Ricca, è infatti anche (chi l’avrebbe mai detto?) il capo del 1°
Reparto dello Stato maggiore Marina, cioè il capo del personale anche lui.
Pazzesco. Ricca ha anche ricevuto un encomio solenne per aver “concorso in
maniera determinante alla stesura dei decreti legislativi attuativi della legge
inerente la revisione dello strumento militare, fornendo un contributo
estremamente lucido, competente e lungimirante”. La legge di cui si parla è la
cosiddetta legge Di Paola, contestatissima tra i militari perché taglia 40 mila
posti di lavoro. Perfetto. Vi stupite se, di fronte all’abominio della
proposta, su questa curiosa specificità i Cocer tacciano? Dimenticavo: neppure
dalla volonterosa ministra sono arrivate obiezioni o rimbrotti, come denuncia
il sito dell’Associazione Militari Assodipro. Non per niente la chiamano
generale.

il fattoquotidiano.it

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