MILITARI E RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE: NEGATO PER ESIGENZE DI SERVIZIO DELLA STRUTTURA DI PROVENIENZA E DI DESTINAZIONE
L’art. 42-bis del Decreto Legislativo 151/2001 prevede la possibilità per i pubblici dipendenti di ottenere un trasferimento temporaneo, per la durata di tre anni, presso una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione in cui l’altro genitore espleta la propria attività lavorativa a condizione però che nella sede di destinazione vi sia un posto vacante di corrispondente profilo e che sia stato rilasciato parere favorevole da parte delle amministrazioni di provenienza e destinazione.
La disposizione normativa in questione è stata ritenuta di grande rilievo in quanto mediatamente tutela l’esercizio della potestà genitoriale, favorisce il ricongiungimento familiare e in fondo mira a garantire un’armonica formazione della personalità dei figli minori poiché è evidente che una buona salute psicologica dei figli presuppone il migliore rapporto con la figura paterna, certamente agevolato dalla vicinanza fisica.
Purtroppo sull’argomento, gli interventi della giustizia amministrativa sono discordanti. Infatti mentre il Tribunale Amministrativo Regionale di Trento ha sottolineato “la possibilità per l’amministrazione di negare l’avvicinamento richiesto non può essere ricondotta alla mancanza di organico nella sede di servizio” (on un caso riguardante un carabiniere) una recente sentenza del Consiglio di Stato (in un caso riguardante un sottufficiale dell’Esercito Italiano) ha invece rigettato il ricorso proprio per tale motivo. Riportiamo di seguito i fatti ed uno stralcio della sentenza.
Un Maresciallo Ordinario dell’Esercito Italiano, infermiere professionale, presso il 5° Reggimento Alpini, di stanza a Vipiteno (BZ), dal 9 luglio 2008, ha presentato all’amministrazione di appartenenza, prospettando di avere un figlio di età inferiore a tre anni, istanza di assegnazione temporanea per un Ente di stanza in Roma, Civitavecchia o Cassino ai fini del ricongiungimento con la moglie.
Lo Stato Maggiore dell’Esercito, ha rigettato la domanda. L’interessato ha, quindi, impugnato il diniego innanzi al Tribunale amministrativo del Trentino Alto Adige, che, con sentenza 20 ottobre 2015, n. 321, ha dichiarato il ricorso inammissibile nella parte relativa all’impugnazione del preavviso di rigetto e infondato per il resto. Il ricorrente in primo grado ha proposto appello. La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 26 ottobre 2017.
L’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata in quanto non risulterebbe adeguatamente motivato il diniego sia perché nella sede di servizio sussisterebbero altre figure professionali in grado di svolgere le funzioni a lui assegnate sia perché esisterebbero posti disponibili nelle sedi di destinazione. Il che avrebbe determinato anche una invalidità degli atti impugnati in primo grado per difetto di istruttoria.
Il motivo, secondo il Consiglio di Stato, non è fondato. Si legge nella sentenza: “L’art. 42-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (nel testo in vigore al momento dell’adozione dell’atto impugnato, così come inserito dall’art. 3, comma 105, della legge 24 dicembre 2003, n. 350) prevede che: i) « Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche (…) può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione; ii) L’eventuale dissenso deve essere motivato»; iii) «l’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda»; iv) «il posto temporaneamente lasciato libero non si renderà disponibile ai fini di una nuova assunzione». Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che il beneficio in questione non costituisce un diritto incondizionato del dipendente, ma è rimesso ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione che deve accertare l’esistenza di due condizioni.
In particolare, si è affermato che: i) «la prima è che nella sede di destinazione vi sia un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva; questa condizione è tassativa nel senso che in caso contrario il beneficio non può essere concesso»; ii) la seconda condizione «è che vi sia l’assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione: vale a dire che, pur quando ricorra il requisito della vacanza e disponibilità del posto, il beneficio può essere tuttavia negato in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza e di quella di destinazione» (Cons. Stato, sez. III, 8 aprile 2014, n. 1678).
Nella specie, l’amministrazione con l’atto impugnato ha rilevato che: «l’Ente di appartenenza si trova, al momento, nel totale in una carente situazione organica e nella specifica posizione organica dell’istante in equilibrio (1 previsti – i effettivi), pertanto, un’eventuale detrazione di personale potrebbe comportare consistenti ripercussioni sull’attività operativa/addestrativa che il reparto istituzionalmente è deputato ad assolvere; gli enti dislocati nelle sedi chieste, si trovano in una più che favorevole situazione organica, nella specifica posizione organica posseduta dall’istante, e non necessitano, al momento, di ulteriore assegnazione di personale».
Da quanto esposto risulta che l’amministrazione ha motivato, all’esito di una adeguata istruttoria, il proprio dissenso, adducendo ragioni attinenti alla funzionalità del reparto di appartenenza del ricorrente (5° Reggimento Alpini in Vipiteno), nel quale l’unica posizione organica di infermiere professionale è ricoperta dal ricorrente medesimo e il suo trasferimento, ancorché temporaneo, comporterebbe la vacanza dell’unico infermiere effettivo in un reparto delicato e operativo, come quello in cui attualmente l’appellante presta servizio.
Né varrebbe argomentare, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, che i compiti svolti dall’appellante in qualità di infermiere professionale nel reparto di appartenenza potrebbero essere svolti dai due tenenti medici in servizio, in quanto si tratta di funzioni diverse in quanto tali non intercambiabili.”
Il ricorso è stato dunque rigettato, e si attende ora l’esito dell’appello della sentenza del T.A.R. di Trento al Consiglio di Stato. Nel frattempo sarebbe interessante conoscere gli interventi della Rappresentanza Militare su tale argomento, soprattutto