Marina Militare, al comando il governo sceglie l’ex capo degli incursori
Una nomina last minute per un comando destinato a durare a lungo. A sole quaranta ore dalla cerimonia di avvicendamento, fissata per venerdì alle 16, il governo ha scelto il nuovo capo di Stato maggiore della Marina: si tratta dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Sarebbe errato leggere la decisione come una vittoria di Matteo Salvini, che aveva scatenato una lunga sfida con la ministra Elisabetta Trenta e in parte col premier Giuseppe Conte. Se Cavo Dragone ha colpito il leader leghista per i suoi modi determinati e il curriculum in prima linea – e il partito ha commentato la nomina sottolineando “vincono i militari”-, sulla designazione ha pesato soprattutto la moral suasion del Quirinale. In base alle consuetudini, infatti, tra tre anni Cavo Dragone potrà ambire al vertice di tutta la Difesa. E il suo nome sembra garantire al Colle la prosecuzione di quella trasformazione interforze del mondo militare, portata avanti con il Libro Bianco dell’allora ministra Roberta Pinotti e arenata dall’attuale esecutivo.
L’ultima fase della carriera di Cavo Dragone è stata segnata proprio dalla gestione dei più delicati comandi interforze, quelli cioè dove Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri agiscono in un’unica struttura mettendo in comune uomini e risorse. E che sono visti come l’unica strada per mantenere efficienza nonostante il taglio delle risorse: evitare sprechi e gelosie di corpo, concentrando personale, mezzi e risorse sulle missioni prioritarie da svolgere.
L’ammiraglio è stato pilota d’elicottero durante la storica missione in Libano del 1982, è poi passato ai caccia a decollo verticale Harrier, quindi al comando di una fregata durante i pattugliamenti in Adriatico per la guerra del Kosovo per diventare nel 2002 comandante della portaerei Garibaldi. Nel 2008 ha guidato gli incursori del Comsubin, uno dei reparti d’assalto più famosi al mondo. Per questo sei anni dopo ha avuto l’incarico di coordinare tutte le forze speciali italiane, la punta di diamante dell’attività all’estero. Infine dal 2016 è stato il primo ufficiale non proveniente dai ranghi dell’Esercito a dirigere il Comando Operativo Interforze, in sigla Coi: il quartier generale sotterraneo nell’aeroporto di Centocelle che conduce tutte le missioni internazionali, dove si è occupato di gestire la spedizione in Iraq per sostenere la campagna contro lo Stato Islamico. Tra i primi a complimentarsi, il generale Claudio Graziano – oggi presidente del comitato militare dell’Unione Europea ed ex numero uno della Difesa – che lo scelse come capo del Comando Operativo: “Come ho avuto modo di dire il giorno del suo insediamento al Coi, l’ammiraglio Cavo Dragone nella sua brillante carriera è sempre stato un grande comandante integro e coraggioso. E sono certo che nelle nuove funzioni saprà continuare a dare consistenza all’azione interforze dello strumento militare, assicurando sempre maggior prestigio alle Forze Armate e al Paese”.
Testa rasata e fisico da commandos, abituato a parlare anche in pubblico in modo diretto, ha più volte sottolineato nei suoi interventi l’importanza che il Mediterraneo è tornato ad avere nella sfida tra le potenze: uno scacchiere sempre più strategico, dove oggi i nostri militari godono di grande rispetto mentre la nostra politica estera manca di visione ed incisività. Non ha mai dato un’intervista. Ai cadetti dell’Accademia di Livorno descriveva la vita in Marina come “un mondo duro, selettivo e meritocratico”. Tra gli incarichi più particolari, la presidenza del collegio di periti che ha ricostruito per il giudice il naufragio della Costa Concordia: è stato lui a smontare, in un breve e serrato confronto in aula, tutti i tentativi di Francesco Schettino per autogiustificare il suo comportamento nel disastro del Giglio.
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