MARESCIALLO FACEVA LA SPIA PER I NO TAV, CONGEDATO E CONDANNATO PER DANNO D’IMMAGINE
A Torino in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della magistratura contabile si è parlato nuovamente del caso del maresciallo della Guardia di Finanza che era un informatore dei No Tav. La Corte dei Conti del Piemonte, nel luglio del 2016, lo aveva condannato a pagare 6mila euro al Ministero dell’Economia per il danno all’immagine che aveva provocato.
Il sottufficiale telefonò nel giugno del 2011 un paio di volte agli attivisti per fornire dettagli sulle imminenti operazioni di sgombero del maxi presidio allestito da Chiomonte – dove oggi sorge il cantiere per il tunnel preliminare per la nuova ferrovia Torino-Lione. Per quelle chiamate venne indagato per rivelazione di segreti di ufficio e patteggiò sei mesi. Non solo: fu anche punito con la perdita del grado per rimozione.
La difesa nel corso del giudizio oppose motivazione di ordine interiore che avrebbero sorretto la condotta del convenuto, animato dalla volontà di evitare scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Essi tuttavia – statuisce nella sentenza la Corte dei Conti del Piemonte – a parte la difficoltà di darne la prova, restano giuridicamente irrilevanti nel presente giudizio di responsabilità amministrativa, a fronte di una condanna del Giudice penale divenuta irrevocabile.
Visto che l’argomento ha destato nuovamente clamore riproponiamo uno stralcio della sentenza.
La lesione dell’immagine pubblica opera su un duplice piano, interno ed esterno: all’esterno, per la diminuita considerazione nell’opinione pubblica o in quei settori in cui l’amministrazione danneggiata precipuamente opera, e all’interno, per l’incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che compongono i propri organi. Ne consegue che, al fine di configurare la lesione dell’immagine, non è indispensabile la presenza del c.d. clamor fori, ovvero la divulgazione della notizia del fatto a mezzo della stampa o di un pubblico dibattimento. Tali elementi vanno sì considerati, ma solo quali aggravanti. Il c.d. clamor, pertanto, può essere rappresentato anche dalla divulgazione all’interno dell’Amministrazione e dal coinvolgimento di soggetti ad essa estranei, senza alcuna diffusione nei mass media (cfr. Sez. II App. n. 662/2011).
Ciò posto, ad avviso del Collegio i comportamenti posti in essere dal convenuto hanno inferto una grave lesione all’immagine dell’Amministrazione pubblica interessata. Come sottolinea la Procura, il convenuto, quale Maresciallo Capo della Guardia di finanza, avendo rivelato ad estranei, grazie a quanto appreso in riunioni riservate cui aveva partecipato in forza della propria qualità e ruolo, i dettagli relativi a complesse e delicate operazioni di ordine pubblico, mettendone in pericolo il buon esito, ha, non solo minacciato l’ordine e la sicurezza pubblica, con grave spregio dei principi costituzionale di imparzialità e buona amministrazione e della missione assegnata al militare ed al corpo di appartenenza, ma ha minando la fiducia dei cittadini nella correttezza e legalità dell’azione amministrativa, che particolarmente si attendono dagli apparati militari dello Stato.
Il convenuto deve, quindi, essere condannato a risarcire il solo danno all’immagine causato al Ministero dell’Economia e delle Finanze – Guardia di Finanza e quantificato in euro 6.000,00.