Maresciallo della Guardia di Finanza punito perché titolare di partita Iva. Il Tar: non era finalizzata ad attività extra professionali ma ad esigenze personali
Il ricorrente Maresciallo Capo della Guardia di Finanza, in data 3 novembre 2017, all’esito di attività di monitoraggio demandata dal Comando Provinciale alla Compagnia di Bressanone, preordinata alla verifica di eventuali condizioni di incompatibilità del personale in forza alla citata sezione operativa, si riscontrava in capo al medesimo la titolarità, dal marzo 2008, di partita IVA funzionale alla coltivazione dei frutti oleosi.
Pur a fronte delle osservazioni, con le quali il ricorrente rappresentava che l’apertura della partita I.V.A. non era stata finalizzata all’esercizio di attività commerciale e/o agricola, bensì a soddisfare l’esigenza personale della raccolta di olive su due terreni di proprietà, per poi procedere al conferimento e alla molitura delle stesse presso il frantoio locale e trarre da tale attività olio da destinare esclusivamente al fabbisogno familiare, nonché che in data 30 novembre 2015 era stata resa comunicazione all’allora Comandante della Compagnia, circa l’esistenza della suddetta partita IVA, veniva all’interessato irrogata la sanzione disciplinare di corpo della “consegna di gg 4”.
Il collegio ha richiamato la portata applicativa della Circolare n. 200000/109/4 del 20 giugno 2005 (recante “Disposizioni in materia di esercizio di attività private extraprofessionali da parte del personale del Corpo della Guardia di Finanza in servizio e di concessione delle relative autorizzazioni”), il cui punto 2.2., lett. a), stabilisce che:
“Oltre ai divieti espressamente riportati nelle singole leggi di stato, di cui si è già detto, all’appartenente al Corpo in servizio è fatto anche divieto di … essere titolare di partita I.V.A. Infatti, si ritiene che la mera titolarità di partita I.V.A., come sancito nell’art. 35 del D.P.R. n. 633/1972, sia inequivocabile manifestazione di intenzionalità, da parte di un soggetto, di intraprendere l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, prevedendo quindi di devolvere ad essa le proprie energie psico-fisiche, in aperto contrasto con le richiamate Leggi di Stato”.
Il Collegio ha ritenuto che nella fattispecie all’esame, non ricorrano (o, quanto meno, non siano stati dimostrati) i presupposti per l’applicazione di sanzione disciplinare.
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La ratio della circolare risiede, con ogni evidenza, nella – condivisibile – esigenza di scongiurare lo svolgimento di attività, segnatamente a carattere imprenditoriale o altrimenti professionale, suscettibili di determinare indesiderate conseguenze (anche solo potenzialmente) decettive, rispetto al ruolo del militare stesso (ed all’esclusività prestazionale che ne caratterizza, ex ceteris, il proprium), nonché delle funzioni che il medesimo è chiamato ad adempiere.
Tale postulato non può, con ogni evidenza, essere utilmente evocato laddove all’apertura della partita IVA non abbia fatto seguito lo svolgimento di alcuna attività imprenditoriale o professionale, risultando la stessa preordinata, come dal ricorrente rappresentato, “al fine di poter conferire le olive, poterle macinare al frantoio, e ritirare l’olio per uso familiare, e mai, per porre in essere attività commerciali/agricole di qualsiasi tipo …”.
Deve, conseguentemente, assumersi che:
– in difetto della mera rilevanza assunta dalla apertura della partita IVA, ove non accompagnata dallo svolgimento di attività artigianale, imprenditoriale, o, comunque, commerciale,
– ed in carenza di dimostrate evidenze comprovanti siffatta finalizzazione, con riveniente emersione di elementi (almeno) indizianti lo svolgimento, da parte del militare, di attività incompatibile con lo status dal medesimo rivestito,
la sola attività di coltivazione, ove preordinata ad esigenze di consumo meramente familiare, non integri, ex se, condotta incompatibile, in quanto tale suscettibile di essere assoggettata a misura sanzionatoria sotto il profilo disciplinare.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha quindi accolto il ricorso condannando l’Amministrazione alle spese di lite, complessivamente liquidate nella misura di € 2.000,00.
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