Esteri

L’obiettivo della Turchia è riportare un indebolito Assad al tavolo dei negoziati

Portare un indebolito presidente siriano, Bashar al-Assad, al tavolo dei negoziati per costringerlo a riconoscere le forze di opposizione, sfruttando la debolezza di Hezbollah, dell’Iran e il minore impegno della Russia. Sarebbero queste le ragioni alla base dell’offensiva a sorpresa lanciata dalle formazioni islamiste siriane sostenute dalla Turchia, secondo quanto dichiarato in un’intervista a Euractiv Italia da Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del Centro studi di politica internazionale (CeSPI).

Il 27 novembre scorso, le formazioni anti-Assad, guidate dal gruppo islamista Hay’at Tahrir al-Sham, hanno lanciato un attacco su due direttrici: verso la città di Aleppo e la campagna attorno a Idlib, prima di avanzare verso la vicina provincia di Hama. L’offensiva lampo ha consentito agli insorti di entrare ad Aleppo per la prima volta dal 2016. È stata lanciata mentre entrava in vigore il cessate il fuoco tra Israele e il movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah, principale alleato delle forze regolari siriane, che ha giocato un ruolo fondamentale nel mantenere Assad al potere e nel controllo di parte del paese durante la guerra civile iniziata nel 2011.

Un’offensiva lanciata per rispondere agli attacchi del regime di Assad

Secondo Giannotta, a guidare l’offensiva sono stati Hay’at Tahrir al-Sham (letteralmente Comitato di liberazione del Levante), che negli anni ha mantenuto il controllo di Idlib, e l’Esercito Nazionale Siriano, gruppo di opposizione nato sulle ceneri dell’Esercito Libero Siriano, protagonista dell’insurrezione contro Assad nel contesto delle primavere arabe del 2011. Hay’at Tahrir al-Sham, noto in precedenza come Jabhat al-Nusra e fedele ad al-Qaeda, ha cercato negli ultimi anni di “rifarsi un’immagine”, rinunciando alla sua missione jihadista globale. Insieme a questi due gruppi principali, vi sono anche diversi foreign fighter, provenienti soprattutto dalle repubbliche turcofone.

Nonostante il sostegno e l’addestramento forniti da Ankara a queste formazioni, la Turchia non sarebbe direttamente coinvolta nei combattimenti. Il paese ha condotto quattro operazioni militari in Siria e vanta basi e posti di osservazione lungo il confine turco-siriano, estesi da ovest a est nelle aree di al-Bab, al-Rai, Akhtarin, Afrin, Jindires, Rajo e Jarablus.

Secondo Giannotta, le azioni dei ribelli contro il regime di Assad sarebbero una risposta agli attacchi lanciati nei mesi scorsi dalle forze governative siriane, che hanno provocato nuove ondate migratorie verso il confine turco. “L’idea sembrava essere quella di riprendere il controllo della famosa autostrada M5, che collega Aleppo a Damasco”, racconta Giannotta, spiegando che una volta arrivati sul posto, i ribelli hanno trovato poca resistenza da parte delle forze siriane e dei loro alleati – principalmente pasdaran iraniani e miliziani di Hezbollah – riuscendo ad avanzare in profondità e “generando un effetto domino”.

Per Giannotta, Ankara avrebbe semplicemente avallato l’offensiva senza però fomentarla. “Ha adottato una strategia di pazienza, lasciando che gli eventi si sviluppassero a proprio favore, tra cui il contenimento delle milizie curde e la riduzione delle ondate migratorie,” osserva la direttrice del CeSPI.

Un contesto interno turco complicato

L’offensiva si colloca in un momento delicato per la Turchia, che ospita oltre 4 milioni di rifugiati siriani, generando un diffuso malcontento nella popolazione locale. “Il tema è stato centrale nelle elezioni presidenziali del maggio 2023,” sottolinea Giannotta. “C’è una forte pressione per il rimpatrio dei rifugiati e per mettere in sicurezza certi territori.”

A ciò si aggiunge l’avvio di un nuovo processo di pace tra la Turchia e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Garantire la sicurezza al confine, evitando effetti negativi sul territorio turco, è considerato essenziale, soprattutto nelle aree controllate dalle milizie curdo-siriane lungo il confine con le province turche di Gaziantep, Şanlıurfa e Mardin.

Ankara punta a portare Assad a negoziare

L’offensiva lanciata dalle formazioni islamiste e ribelli siriane avviene in un momento di stallo nel processo di normalizzazione tra Turchia e Siria. Questo percorso, avviato con lo storico incontro del 10 maggio 2023 in Russia tra i ministri degli Esteri di Ankara e Damasco, si è bloccato a causa delle richieste di Assad, che pretende il ritiro delle truppe turche dai territori siriani. Per Giannotta, queste condizioni sono “indigeribili” per la Turchia.

“Non credo che l’obiettivo di Ankara sia un cambio di regime,” spiega Giannotta. “Penso piuttosto che la Turchia voglia portare Assad al tavolo dei negoziati. Questo permetterebbe ad Assad di mantenere il potere, mentre la Turchia potrebbe contenere l’influenza iraniana nella regione”.

Giannotta sottolinea inoltre come Ankara abbia puntato, negli ultimi anni, su un approccio di normalizzazione, ottenendo risultati concreti nel rilancio delle relazioni con paesi come Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Questo riflette la volontà turca di mantenere il ruolo di “balancing actor” a livello regionale e internazionale, evitando nuove escalation di violenza, sia in Siria che nel contesto internazionale segnato dalla guerra in Ucraina e dal fragile cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah in Libano.

Le dichiarazioni del ministro degli Esteri turco Fidan

Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha ribadito l’approccio di Ankara durante un incontro con il suo omologo iraniano Abbas Araghchi. “I recenti sviluppi dimostrano che il regime siriano deve riconciliarsi con il suo popolo e con la legittima opposizione. La Turchia è pronta a contribuire a questo scopo,” ha affermato Fidan.

Ha inoltre criticato Damasco per la sua riluttanza a sedersi al tavolo dei negoziati con l’opposizione e ha sottolineato l’importanza di garantire il ritorno dei rifugiati siriani. “Non vogliamo vedere un’escalation nella guerra civile siriana o la distruzione delle infrastrutture civili attraverso bombardamenti pesanti,” ha concluso Fidan.

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