L’Italia punta su una riserva militare di 10mila uomini per rafforzare la difesa. Ecco cosa prevede la proposta di legge
L’Italia si prepara a istituire una riserva militare volontaria di 10.000 effettivi, segnando un deciso passo avanti nel rafforzamento della difesa nazionale. L’annuncio è arrivato mercoledì da Nino Minardo, presidente della Commissione Difesa della Camera, che ha comunicato l’avvio dei lavori per una legge unificata, a partire dall’8 luglio, con la collaborazione di maggioranza e opposizioni.
L’obiettivo? Arruolare ex militari già formati, pronti a essere mobilitati in tempi rapidi in caso di emergenza. Una soluzione “low cost” e ad alta efficacia, pensata per colmare i vuoti strutturali delle Forze Armate senza i tempi (e i costi) della formazione da zero.
Il modello austriaco come riferimento strategico
Non è un salto nel buio: il modello austriaco viene indicato come fonte di ispirazione. In Austria, infatti, esiste una forza di riserva di circa 35.000 unità, che per legge deve svolgere 30 giorni di addestramento annuale per almeno cinque anni, con il consenso del datore di lavoro.
Numeri alla mano: Italia fanalino di coda nella NATO?
Attualmente, l’Italia conta circa 160.000 militari in servizio attivo, meno di Francia, Germania e Polonia, ma più di Spagna e Grecia. Una forza ridotta, secondo molti osservatori.
Lo ha ribadito il già Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che a marzo ha lanciato un allarme netto: «Anche con 170.000 stiamo operando al limite della sopravvivenza». E con un tono che sa di sfida, ha aggiunto: «Continuerò a chiedere più truppe finché non mi cacceranno».
Un messaggio chiaro: la soglia critica è già stata superata, e servono soluzioni immediate. La riserva ausiliaria potrebbe rappresentare una risposta flessibile, capace di alleggerire la pressione sulle unità operative.
Una forza invisibile, pronta all’attivazione: così nasce la nuova riserva militare
Il cuore della proposta Minardo pulsa su un’idea semplice e strategica: attingere a un bacino già formato, selezionato tra i giovani ex volontari VFI e VFT con meno di 40 anni, che – cessato il servizio senza demerito – potranno essere arruolati nella riserva ausiliaria dello Stato. Niente reclutamenti da zero, nessuna formazione da impostare. Si tratta di personale già pronto, già addestrato, da reinserire in un sistema a basso costo e alta efficienza, strutturato su nuclei regionali sotto il controllo delle autorità militari.
Chi entrerà nella riserva lo farà su base volontaria, per un periodo iniziale di cinque anni, rinnovabile annualmente fino al limite d’età. In cambio, dovrà mantenere la piena idoneità psico-fisica, garantire la reperibilità e partecipare ogni anno ad almeno due settimane di addestramento, per mantenere aggiornate competenze e ruoli. Niente status simbolico, dunque: è un ritorno operativo a tutti gli effetti.
Ma la novità più densa di implicazioni non è amministrativa. La proposta prevede che, in caso di guerra, grave crisi internazionale, minaccia alla sicurezza dello Stato o stato di emergenza dichiarato dal Governo, questa riserva possa essere mobilitata con procedura accelerata, entro 48 ore dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Una volta attivati, i riservisti mantengono il grado, il ruolo e lo stipendio che avevano, oltre al diritto alla conservazione del posto di lavoro nel settore civile. Saranno richiamabili per periodi trimestrali, prorogabili fino al cessare dell’emergenza.
In un tempo in cui la complessità geopolitica chiede rapidità, flessibilità e contenimento dei costi, questa riserva diventa lo strumento per riempire i vuoti senza espandere permanentemente l’organico, offrendo un back-up operativo affidabile alle Forze armate in missioni internazionali, operazioni interne come “Strade Sicure” o situazioni emergenziali. È un dispositivo a chiamata, pronto ad attivarsi come una forza armata silente e reattiva, dispersa ma coesa, distribuita sul territorio, addestrata, fedele.
Verso una difesa “smart” o un maquillage d’emergenza?
La creazione di una riserva ausiliaria volontaria può sembrare una risposta pragmatica: rapida da attivare, a basso impatto economico, e politicamente condivisa. Ma resta aperta una domanda: si tratta di un vero rafforzamento della difesa o di un tampone temporaneo?
La crisi demografica, la crescente instabilità globale e la pressione della NATO chiedono all’Italia risposte concrete. E una riserva da 10.000 uomini, per quanto utile, non può da sola risolvere una carenza strutturale.
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