La Truffa che non c’era sull’alloggio di servizio: assolto Colonnello dell’Esercito
(di Avv. Umberto Lanzo)
La Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 33479/2024, ha assolto definitivamente un tenente colonnello , annullando senza rinvio la condanna inflittagli dalla Corte militare di appello di Roma per truffa militare pluriaggravata. L’accusa riguardava la presunta omessa dichiarazione di nuda proprietà immobiliare ai fini della rideterminazione del canone per l’alloggio demaniale a Messina. Ma la Suprema Corte ha stabilito che il fatto non costituisce reato.
Il contesto: una lunga vicenda giudiziaria tra Messina, Napoli e Roma
L’inizio della vicenda risale al 2021, quando il Pubblico Ministero militare richiese il rinvio a giudizio per l’ufficiale, in servizio presso la Brigata Meccanizzata “Aosta” di Messina. L’accusa: aver prodotto dichiarazioni false (datate 2016, 2017 e 2019) per ottenere una riduzione indebita del canone d’affitto per un alloggio demaniale che continuava ad occupare anche dopo la scadenza del suo incarico.
La sentenza di primo grado del Tribunale militare di Napoli (14 marzo 2023) lo assolse completamente, rilevando che non vi fosse alcun danno patrimoniale all’amministrazione militare e che, nella dichiarazione del 2017, non vi fosse prova di dolo in quanto la mancata indicazione degli immobili dei quali l’ufficiale era comproprietario poteva essere dipesa non già da una volontà truffaldina, ma da semplice superficialità o trascuratezza, atte a integrare solo la colpa dell’imputato.
Appello militare: ribaltamento parziale e condanna
La Corte militare d’appello di Roma, il 21 marzo 2024, ribaltò parzialmente l’assoluzione, condannando il colonnello a quattro mesi di reclusione militare (pena sospesa) per l’omissione del 2017, ritenuta dolosa. Applicò le attenuanti generiche e il rito abbreviato, ma dispose anche la rimozione dal grado.
Secondo i giudici d’appello, è bastata una casella vuota – quella che ometteva la nuda proprietà di due immobili a Giulianova – per trasformare una dichiarazione in un raggiro e un risparmio di 2.402 euro in un reato di truffa.
Per i magistrati, l’omissione nella dichiarazione sostitutiva presentata il 5 aprile 2017 avrebbe determinato una rideterminazione più favorevole del canone dell’alloggio popolare, con un vantaggio economico indebito.
Per il giudice di primo grado, la mancata dichiarazione dei beni non era una truffa, ma al massimo una leggerezza: nessuna prova che l’omissione fosse dolosa, anzi, l’imputato stava partendo per una missione all’estero e riteneva – forse ingenuamente – che la nuda proprietà non andasse nemmeno indicata.
Ma la Corte d’Appello non ha condiviso questa lettura: ha visto nell’omissione un calcolo, non una distrazione. Secondo i giudici, non era credibile che F. non si fosse accorto del vantaggio economico ottenuto, tanto più che la situazione si era protratta nel tempo. Tuttavia, la sentenza d’appello – osserva la difesa – non offre una motivazione rafforzata, obbligatoria quando si ribalta un’assoluzione. E, soprattutto, non dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che ci fosse davvero l’intenzione di ingannare.
Questa condanna, però, non ha retto al vaglio della Cassazione.
Cassazione: la nuda proprietà non fa reddito e il dolo non è provato
La Sezione feriale della Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso presentati che ha smontato la tesi accusatoria punto per punto.
I punti chiave della decisione:
- Assenza di dolo: La Corte ha evidenziato che l’omissione del colonnello poteva derivare da semplice errore o ignoranza, vista la complessità della normativa fiscale e amministrativa.
- Nuda proprietà ≠ incremento reddituale: Il possesso in nuda proprietà, senza usufrutto, non genera reddito imponibile, secondo l’art. 26 del TUIR.
- Difetto di obbligo dichiarativo: La Cassazione ha chiarito che non vi era obbligo legale per l’imputato di dichiarare tali beni, poiché non producevano reddito reale né vantaggi concreti.
“La sentenza impugnata è viziata da un difetto decisivo di motivazione e da un’applicazione erronea del diritto”, si legge nel dispositivo.
La corte ha inoltre sottolineato “Il dato fattuale del silenzio serbato dall’imputato sulla titolarità degli immobili di cui era nudo proprietario è, del resto, logicamente compatibile sia con la volontarietà e la consapevolezza dell’omissione dichiarativa, che con la sua ignoranza dovuta a colpa, anche in ragione dell’obiettiva complessità della disciplina tributaria e di quella dettata dall’amministrazione militare per gli alloggi di servizio”.
Perché il caso fa giurisprudenza
La sentenza è destinata a diventare un precedente rilevante in materia di:
- Interpretazione dell’art. 234 c.p.m.p. (truffa militare)
- Rilevanza penale della nuda proprietà ai fini reddituali e dichiarativi
- Onere probatorio per dimostrare il dolo nei reati contro la pubblica amministrazione
Un elemento fondamentale sottolineato dalla Cassazione è il principio di diritto secondo cui, in caso di condanna che ribalta un’assoluzione, il giudice deve fornire una motivazione “rafforzata” e basarsi su prove oltre ogni ragionevole dubbio.
Un caso che mette in discussione i criteri dell’amministrazione militare
Questo caso rappresenta una lezione sulla necessità di rigore giuridico, specie quando si giudicano condotte amministrative complesse all’interno delle Forze Armate. Una condanna non può basarsi su presunzioni o interpretazioni arbitrarie: serve il rispetto delle norme, della logica e del diritto.
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