La moglie di un carabiniere scrive a Conte: “Ci hanno lasciato soli per 9 giorni e ancora si perde tempo”
Caro Presidente Conte, sono una cittadina italiana e moglie di un militare dell’arma dei carabinieri che presta servizio nella stazione di Rogliano, un piccolo paese della provincia di Cosenza. In tutta la mia vita non avrei mai pensato di doverle scrivere, per far sì che qualcuno prestasse attenzione alla nostra surreale situazione, e a quella di tanti militari che come mio marito, ogni giorno rischiano la vita per la propria Nazione, con sacrificio e senso del dovere senza che però mai nessuno possa ripagarli quanto meno per tutto quello che fanno per ognuno di noi. I nostri angeli silenziosi non sono tutelati da nessuno, neanche nelle peggiori situazioni, proprio come questa pandemia che ha colpito duramente il nostro Paese, mettendolo in ginocchio da un giorno all’altro, senza sapere mai quando finalmente potremo rialzarci più forte di prima con le lacrime agli occhi, per tutte le persone care perse, per il dolore e la stanchezza che ha sopraffatto ognuno di noi in un momento così delicato.
Innanzitutto vorrei ringraziarLa per il duro lavoro che sta svolgendo. Da cittadina italiana sono fiera di Lei per il fardello che sta portando con onore sulle sue spalle. Indipendentemente dall’orientamento politico di ognuno di noi, penso che noi italiani possiamo essere fieri per come sta fronteggiando questa emergenza. Ogni volta che ascolto un suo comunicato è come avere la sensazione di ascoltare un papà, che a modo suo sta cercando di proteggere e rialzare i suoi figli, ormai caduti. Ma purtroppo Presidente nonostante i suoi sforzi, la Calabria non risponde, è al limite, non può farcela. Le Istituzioni qui non funzionano, non aiutano. Tutti ci hanno abbandonato.
Il calvario della mia famiglia è iniziato il 14 Marzo, quando mio marito un Appuntato Scelto dell’arma dei carabinieri ha iniziato a manifestare uno stato febbrile che apparentemente agli occhi di tutti poteva sembrare una semplice influenza stagionale. Noi da persone coscienziose abbiamo subito avvisato il nostro medico e chi di dovere, ma tutti ci hanno dato la stessa risposta: “Non create falsi allarmismi”. La situazione mano mano è peggiorata, tanto che mio marito è arrivato a uno stato febbrile di 40° gradi. Nove giorni con febbre alta, dove nessuno si è interessato della nostra situazione. Chi doveva preoccuparsi, in realtà non ci ha ritenuto una priorità! Nonostante le nostre innumerevoli telefonate a medici, 118, arma dei carabinieri, nessuno voleva sottoporre mio marito a tampone. Fino a quando, io ho manifestato una crisi respiratoria, e portata d’urgenza con il 118 all’ospedale ANNUNZIATA di Cosenza, hanno finalmente sottoposto mio marito a tampone, dicendo che si era perso troppo tempo. Ma purtroppo si deve sfiorare sempre la tragedia, per capire che il tempo in questi casi è prezioso.
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Mio marito purtroppo è risultato positivo a Covid-19. In quei momenti niente e nessuno può placare la rabbia per quello che si poteva fare prima e non si è fatto, la rabbia per la sensazione di abbandono da parte di tutti, per il forte vuoto che si sente dentro, che nessuno riuscirebbe mai a colmare. Ma la rabbia è cresciuta ancora di più quando, nonostante tutto il calvario la risposta a quell’esito positivo ancora una volta è stata la discrezione!
Si, Presidente Conte ci hanno chiesto discrezione e omertà, perché incapaci di fronteggiare un’emergenza simile, che successivamente ha colpito altri colleghi di mio marito, padri di famiglia che portano con orgoglio la Fiamma, la stessa che arde nei loro cuori da quando hanno intrapreso il sogno di dedicarsi completamente al proprio Paese e servirlo con onore ogni giorno della loro vita. Si è perso tempo nel far sì che anche altri militari potessero scampare a questo inevitabile contagio. Ma la cosa che fa più rabbia è che nonostante si è perso tempo prima, si continua a perdere tempo ancora adesso.
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A tutt’oggi le famiglie di questi colleghi purtroppo non sono ancora state sottoposte a tamponi e controlli medici, in quanto tutti danno la stessa risposta: “Non ci sono tamponi”. Padri, madri e figli abbandonati da tutti persino da chi doveva proteggerli. Bambini piccoli ai quali è impossibile spiegare di questo virus che ha colpito i loro papà e stravolto la famiglia di ognuno di noi. Presidente mi rivolgo a Lei, come padre di questa grande Nazione, nella speranza che da oggi qualcosa possa cambiare, nella speranza che qualcuno finalmente possa iniziare a prendersi cura delle Forze dell’Ordine come è doveroso che sia, insieme a tutte le loro famiglie. Questo è un appello di speranza affinché la nostra storia non sia invana o dimenticata. Questo è un appello affinché qualcuno inizi ad aiutare realmente la Calabria e non con le parole o i comizi, ma con fatti concreti.
Con la speranza nel cuore che Lei possa smuovere qualcosa, che possano finalmente arrivare aiuti concreti per la sanità calabrese ormai al collasso, senza più dover sentire che non siamo priorità, io Le chiedo di intervenire prontamente in questa situazione e di far sì che tutti coloro che ne hanno bisogno siano sottoposti a tamponi e cure mediche senza nessuna distinzione, comprese tutte le famiglie dei nostri militari colpiti . Le porgo i miei più affettuosi saluti.
La moglie di un carabiniere