LA MOGLIE DEL POLIZIOTTO MORTO A VENTIMIGLIA: “DIEGO ERA SEMPRE DALLA PARTE DEI PIÙ DEBOLI”
(Di Giusi Fasano per il corriere) – Ci sono pensieri che arrivano prima delle parole. Presentimenti. «Quando Belen mi ha chiamato ho avuto un attimo di esitazione prima di rispondere. Ho pensato subito: è successo qualcosa di grave…» Danila Josefa sapeva che erano brutte notizie ancora prima che la voce preoccupata di sua figlia le dicesse «ci sono qui i colleghi di papà, vogliono parlare con te».
Gli occhi lucidi dei poliziotti
È rientrata a casa più in fretta che ha potuto e ancora una volta le parole non sono servite, le è bastato vedere gli occhi lucidi dei suoi amici poliziotti… Suo marito Diego Turra, agente del reparto mobile di Genova, era appena morto stroncato da un infarto. Tutt’attorno a lui, le hanno raccontato, gli altri colleghi erano alle prese con le operazioni per identificare i 13 ragazzi No borders fermati dopo i tafferugli con la polizia al confine con la Francia. Diego non ha avuto contatti diretti con quei ragazzi, è sceso dal furgone per ultimo e senza dire una sola parola è crollato per terra. Inutili i tentativi di salvarlo. «Ogni tanto aveva la pressione un po’ alta ma non in modo preoccupante, e comunque non ha mai avuto problemi di cuore» dice adesso Danila. «Semmai — aggiunge — aveva problemi di stress. Era sotto pressione continua per i turni duri che faceva. Quando stava fuori qualche giorno per servizio tornava a casa stanchissimo e ormai era da molti mesi che lui, come i suoi colleghi, viveva in emergenza continua per la questione dei migranti».
Non passava giorno che Diego non raccontasse delle sue «missioni» (come le chiama sua moglie) sul fronte dell’immigrazione. Del suo dispiacere quando capiva che gli immigrati avevano paura della polizia, del fatto che qualche volta ci volevano due-tre poliziotti per fermarne uno facinoroso. «Lui li avrebbe aiutati tutti, stava sempre dalla parte dei deboli, non ha mai abusato della sua divisa» racconta Danila che di cognome fa Jipijapa, che qui in Liguria ha appena finito un corso di operatrice socio-sanitaria e che è nata e cresciuta in Ecuador, dove ha avuto un marito e sei figli prima di trasferirsi in Europa e conoscere Diego. «Ci siamo incontrati a un compleanno nel periodo in cui io vivevo in Spagna. Poi, nove anni fa ci siamo sposati e lui è diventato il padre adorabile dei miei figli, un uomo dolce, unico, pacifico. Non credo che nessuno lo abbia mai visto arrabbiato».
Aveva lasciato il lavoro d’ufficio
Danila è convinta che il carico di lavoro e le tensioni dell’attività operativa lo abbiano sfinito fino all’infarto. Due anni fa, appunto, lei non avrebbe voluto quel che Diego aveva invece chiesto con insistenza, cioè lasciare il lavoro d’ufficio e tornare a uscire per servizio. «Avevo paura che gli capitasse qualcosa, temevo gli scontri allo stadio durante l’ordine pubblico o qualche disordine per i migranti… invece è morto così, senza nemmeno un’ambulanza vicino che potesse provare a salvarlo.
Nel suo pensare e ripensare a lui, in questi due giorni senza fame e senza sonno, Danila ha giurato a se stessa che appena l’avrà seppellito chiamerà i suoi colleghi dei sindacati di polizia. «Voglio che sappiano — promette — che non si può vivere con questi turni massacranti, che non è giusto che un pover’uomo come Diego faccia straordinari per portare a casa qualche soldo in più e poi veda quei soldi soltanto alla fine dell’anno, voglio ripetere a loro quello che mi diceva sempre Diego: che era stanco, che lo facevano lavorare troppo. Mi chiedo: i sindacati non dovrebbero tutelare i lavoratori? Non dovrebbero impedire i turni troppo pesanti? Spero che almeno la morte di mio marito serva a stare più attenti per il futuro…».