JOBS ACT, MOTIVI ESTETICI OPPURE E IN ATTO LA SPERIMENTAZIONE DELLA ROTTAMAZIONE DEI MILITARI?
In qualità di delegato COCER INTERFORZE non posso tacere dalle segnalazioni che ricevo da parte dei miei colleghi sull’applicazione della circolare IMC, con questa lettera intendo contribuire con delle riflessioni sulla delicata questione della “circolare IMC”; le analisi della vicenda sono state elaborate tecnicamente dallo studio legale “PANDOLFI” e rappresentate all’attenzione dei ministri della difesa, del lavoro e della salute dall’interrogazione parlamentare a risposta orale 3-02041 presentato martedì 23 febbraio 2016, seduta n. 575 dall’On. Zaccagnini Adriano, da oltre 12 mesi attendiamo una risposta dai rispettivi ministri.
L’avvocato Francesco Pandolfi “esperto in diritto militare” nel suo blog approfondisce la circolare, in primis non esiste una norma giuridica di riferimento sull’applicazione della circolare.
In questa lettera sintetizzo il documento dell’avv. Pandolfi: detta circolare fissa un limite tra l’idoneità e la non idoneità al servizio, ossia il limite del 30 per cento per gli uomini e il 28 per cento per le donne, riconducendo il controllo ad una mera applicazione di una formula matematica, senza tener contro della specificità di ogni individuo.
Chi non rientra nei requisiti previsti (elaborazione matematica di valori antropometrici) viene collocato in convalescenza per brevi e lunghi periodi da 90 giorni fino 180, nella prima fase, senza lavorare, il tutto per ridurre l’IMC di almeno un punto: dopo di ciò si avvia la fase della convalescenza, fino a due anni (dopo il primo anno con la metà del proprio stipendio). Da un lato nel primo anno si tratta di un grave spreco economico poiché si pagano le persone collocate dalla propria amministrazione a riposo coatto, dall’altra parte (dal secondo anno in poi), queste interminabili convalescenze mettono a rischio l’impiego del militare, oltre la riduzione dello stipendio del 50 per cento.
Stando ai principi di medicina legale, al fine di valutare l’idoneità o meno al servizio, si individua come sbarramento un’infermità ascrivibile ad una 5° o 6° categoria comunque, tale patologia deve essere in netto contrasto con l’espletazione dei compiti d’istituto»; nel medesimo contributo si legge che «nelle tabelle delle valutazioni di infermità, l’obesità non viene menzionata; le CMO applicano la normativa rigidamente rispetto ad altre patologie permanenti.
Non potendo riformare solo per l’obesità, tendono a far sforare i 730 giorni (stipendiati senza lavorare per risposo forzato) di aspettativa, con conseguente decadimento dal servizio e con la possibilità di non transitare nei ruoli civili. Per quanto concerne invece l’invalidità civile, la percentuale d’invalidità che può essere concessa ad un soggetto obeso (soltanto in presenza di obesità di terzo grado con IMC superiore a 40 per cento) va dal 31 per cento al 40 per cento in quei soggetti con limitata funzionalità e con masse adipose voluminose tali da non poter svolgere le normali attività»; nel documento è altresì evidenziato che «è corretto considerare l’obesità come una patologia vera e propria da trattare come tale, ovvero con percorsi personali mirati di rieducazione elementare e di sport.
Un ambiente di lavoro particolarmente stressante può condurre alcune persone ad un deperimento generale, altre all’impinguamento: si può pretendere che una persona possa intraprendere un percorso per ristabilire un equilibrio salutistico se subisce la costante pressione psicologica della paura di perdere il lavoro ?
Sembra arduo giungere a valutare l’obesità in funzione del grado e dell’incarico, che, evidentemente, non corrispondono a parametri medici»; nello stesso documento si rileva che «rispetto alla questione tesa a verificare e far rientrare il personale militare all’interno dei parametri ponderali, indicati dalla direttiva di forza armata, sovente sono state sollevate da parte dei miei colleghi, tantissime domande e perplessità che fanno emergere forti dubbi e lacune normative»;
a giudizio del deputato On. Zaccagnini primo firmatario dell’interpellanza parlamentare sulla circolare condividendo quanto esposto nel documento dell’avvocato Pandolfi, laddove si legge ancora che «si ritiene opportuno rivedere alcuni parametri giudicati eccessivi e privi di fondamento scientifico con un ulteriore elemento di dubbio, nascente dal fatto che la normativa vigente preveda, in caso di superamento della percentuale del 30 per cento, l’obbligo per il personale di essere posto in convalescenza attraverso un lesivo meccanismo di deliberata “esclusione” anziché “inclusione” della persona dall’ambito lavorativo.
Di fatto la persona si ritrova sola a gestire e risolvere la propria condizione»;
«la tutela della salute si evidenzia inoltre nel documento è scopo primario di ogni norma e, per questo, occorre un vero e proprio cambiamento di “filosofia”, atto a preservare e mettere al centro della problematica la persona. L’aiuto va portato in loco con l’ausilio del DSS, degli istruttori ginnico-militari, per seguire un programma alimentare e sportivo all’interno delle strutture e in orari di servizio, evitando di porre, in convalescenza e con obbligo di presentarsi alle visite preposte solo alla scadenza di questa.
La convalescenza produce effetti dirompenti in termini di carriera e giuste aspettative in capo al personale rappresentato: non vengono effettuate le minime consulenze specialistiche in materia, nonostante provvedimenti quali quelli della collocazione in convalescenza (che rischiano di determinare la perdita del posto di lavoro). È noto che tali “rischi” non sussistono per gli appartenenti ad altre Forze armate, tanto meno in capo al comparto sicurezza, e ciò nonostante, i dettami legislativi di equa ordinazione.
Le disposizioni in materia di I.M.C. possono nel tempo portare fino alla perdita del posto di lavoro per riforma, ciò in palese disparità di trattamento tra il personale dello stesso comparto o tra i comparti Difesa-Sicurezza». Il Ministero della salute dà indicazioni ben precise sull’unità di misura I.M.C.;
L’IMC può determinare orientativamente, la valutazione del sovrappeso e dell’obesità, ma non dell’effettiva composizione della massa corporea di un individuo: in altri termini, l’IMC non distingue la massa grassa dalla massa magra. In questo modo, si presenta l’evidente rischio di sovrastimare il grasso corporeo in soggetti, come gli sportivi, che hanno una corporatura muscolosa, oppure di sottostimare il grasso corporeo in soggetti anziani, che hanno meno massa muscolare.
L’IMC non consente, pertanto, di conoscere la distribuzione del grasso corporeo che, invece, è fondamentale identificare nella sua localizzazione. La distribuzione di grasso maschile, detta «androide» si associa ad una maggiore presenza di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale.
La distribuzione di grasso «a pera» detta «ginoide» (o anche sottocutanea) si caratterizza per una presenza delle masse adipose nella metà inferiore dell’addome, nelle regioni glutee e in quelle femorali.
Con l’utilizzo dell’indice di massa corporea non sarà mai possibile, ad esempio, scoprire le differenze sostanziali tra soggetto femminile e soggetto maschile, avuto riguardo alla percentuale corporea di massa grassa e massa magra. Dunque, l’indice può essere indifferentemente utilizzato sia nei confronti degli uomini, che nei confronti delle donne: è questo uno dei suoi limiti, non rappresentando alcuna distinzione uomo/donna; gli studi medico – clinici e le stesse valutazioni dell’OMS ci dicono che le donne hanno un grasso maggiore rispetto agli uomini.
Discorso a parte va fatto per tutte le persone un po’ più avanti con l’età.
Questa categoria di soggetti è infatti influenzata da altri fattori, rispetto agli adulti più giovani, come le modificazioni biologiche collegate all’età, allo stato di salute, allo stile di vita, ai fattori socio economici: è possibile, quindi, tranquillamente dedurre che per entrambi i sessi l’efficacia dell’IMC diminuisce con il passare dell’età.
In buona sostanza, l’IMC, per la sua semplicità, non dà a giudizio indicazioni utili sulla distribuzione del grasso corporeo, che invece sarebbe molto importante identificare.
Come si può conciliare l’applicazione della suddetta circolare con la normativa vigente in materia di diritti universali e dell’uomo e di tutela della salute della persona, con quanto previsto dell’atto di arruolamento sottoscritto dai quadri permanenti, nonché con il principio dell’equoordinamento tra le Forze Armate e le Forze dell’ordine, non per ultimo esiste una norma giuridica di riferimento sull’applicazione della circolare?
Un altro aspetto non secondario al fenomeno dell’applicazione della circolare, sono le gogne mediatiche sui social che ha creato dei stereotipi e pregiudizi sugli individui vittime della circolare IMC.
Secondo numerosi studi in ambito psicologico si sono occupati negli ultimi decenni dei pregiudizi di cui sarebbero spesso vittime le persone obese in tutte le fasi della loro vita, sia in ambito privato, stigmatizzati e presi in giro da amici e familiari, che in ambito lavorativo dove avrebbero minori probabilità di essere assunte, promosse o di mantenere il posto di lavoro. Vediamo meglio allora il rapporto tra pregiudizi e obesità.
Di seguito un articolo pubblicato dal blog “crescita personale” di Cristina Rubano
Pregiudizi e stereotipi sull’obesità
Alcuni studi condotti nei decenni precedenti avevano messo in luce quanto i pregiudizi sull’obesità in ambito lavorativo si fondassero su alcuni stereotipi negativi frequentemente attribuiti alle persone grasse o sovrappeso quali l’essere pigri, poco coscienziosi, meno competenti o emotivamente instabili (Paul RJ, Townsend, JB., Shape up or ship out? Employment discrimination against the overweight. Emp Respons Rights J. 1995; 8: 133-145. Roehling MV., Weight-based discrimination in employment: Psychological and legal aspects. Pers Psychol. 1999; 52: 969-1017.), in altre parole, meno affidabili dei soggetti normopeso. Un recente studio condotto dall’Università di Manchester (O’Brien, K., et al. Obesity discrimination: the role of physical appearance, personal ideology, and anti-fat prejudice, International Journal of Obesity, 2012. doi:10.1038/ijo.2012.52) sembra ancora una volta confermare questi dati sottolineando come la tendenza a discriminare lavorativamente le donne obese sia legata all’autoritarismo dei selezionatori e all’insicurezza provata rispetto al proprio corpo: maggiore è l’importanza assegnata all’avvenenza e alla forma fisica e maggiore sarebbe la tendenza a discriminare l’obesità sul posto di lavoro.
Pregiudizi: chi ha paura dell’obesità?
In psicologia sociale i pregiudizi sono descritti come una categoria peculiare di atteggiamenti piuttosto rigidi e resistenti al cambiamento, che le persone adotterebbero a scopi marcatamente ego-difensivi, ovvero con l’intenzione inconsapevole di proteggere sé stessi e la propria autostima (Arcuri, L., 1995). Tale meccanismo è stato riconosciuto alla base di pregiudizi anche molto gravi come quelli razziali e potrebbe essere chiamato in causa anche per i pregiudizi contro l’obesità: la società attuale è ampiamente fondata sul culto dell’immagine, della magrezza e dell’eterna giovinezza associati tout court a caratteristiche di successo e valore lavorativo, relazionale e sociale. Questi stereotipi che informano un certo conformismo sociale al livello mediatico forniscono un terreno comune a insicurezze e incertezze individuali là dove stigmatizzare l’obesità allontana da sé quelle attribuzioni ad essa collegate di insicurezza, insuccesso e “perdita di controllo” che non si tollerano anzitutto in sé stessi.
Obesità, pregiudizi e scissioni pubblicitarie
Forse invece che a tassare le merendine e le bevande zuccherate come in altri Paesi è stato fatto, sarebbe utile recuperare una Cultura del limite: il limite non solo al cibo che possiamo ingerire o alle “diete” che possiamo fare per sentirci bene, ma anche quello imposto dal tempo, dall’impegno e dagli errori che per tutti, sottopeso o sovrappeso, sono imprescindibili per ottenere risultati di successo. I “vincenti” e i “perdenti”, i “grassi” e i “magri” sono scissioni che possiamo lasciare alla pubblicità.
Dedicato a tutti i colleghi vittime di questa circolare, in particolare i veterani delle missioni che hanno contribuito anche alle carriere prestigiose di coloro che oggi decidono sul nostro futuro.
Il Cocer ESERCITO ha deliberato sulla circolare ed attendiamo il famoso incontro tecnico con il reparto competente, secondo coscienza sentivo il dovere di rappresentare questa problematica pubblicamente visto che dall’interno non si riesce a risolvere il problema.
A titolo personale, ai sensi dell’articolo 21 della costituzione
Girolamo Foti *
Delegato COCER INTERFORZE SEZ. E.I.
I.M.C. – Materia già deliberata dal COCER ESERCITO