ISRAELE: “NOI COMBATTIAMO I TERRORISTI, IN EUROPA SOLO DEMOCRATICI E LIBERALI”
di Franco Iacch per il Giornale.it – “La prima cosa da fare per contrastare il terrorismo è abbandonare la politica delle frontiere aperte per i nuovi rifugiati e rispedirli a casa. E magari, cambiare anche atteggiamento come Israele”. E’ questa la prima cosa che l’Europa dovrebbe fare, secondo l’ex capo dei servizi segreti israeliani NATIV, Yakov Kedmi, per fronteggiare l’ondata di attentati terroristici.
Una premessa, per capire le parole di Kedmi, è d’obbligo. Per molti israeliani, le immagini raccapriccianti di un camion che falcia la folla indifesa per più di un miglio, così come avvenuto nella località francese di Nizza, è una visione drammaticamente familiare. Una delle tattiche palestinesi per colpire gli ebrei è proprio quella della car intifada: mezzi lanciati a tutta velocità sui civili. Una tecnica poi “ottimizzata” e diretta contro le fermate degli autobus (adesso corazzate con mura in cemento armato).
L’Europa conosce oggi la paura di convivere con il terrorismo, ma in Israele questo avviene da decenni: dai dirottamenti degli anni ‘70, ai kamikaze del 2000 fino ai recenti e fin troppo pubblicizzati lupi solitari. Il problema è che in Israele, l’approccio contro tali minacce è nettamente diverso da quello propinato in Europa. L’intero paese è costruito per combattere, resistere e vincere delle guerre lampo, non di certo un conflitto di logoramento.
Sul fronte esterno Israele possiede uno degli eserciti più potenti del mondo. L’aeronautica israeliana ha una capacità di targeting seconda soltanto a quella degli Stati Uniti, mentre Tel Aviv possiede la più potente forza corazzata del Medio Oriente. Israele ha la capacità di triplicare gli effettivi in pochissime ore che da 180 mila possono raggiungere le 500 mila unità. In caso di guerra totale, 2,5 milioni, tra uomini e donne, sarebbero richiamati dall’esercito. Sul fronte interno, invece, i cittadini hanno acconsentito a quello che in Europa verrebbe visto come un ossessivo ed intrusivo livello di sicurezza. Intanto la popolazione: è stata “abituata” a convivere con il terrorismo, entrato a far parte della routine quotidiana.
Chiunque sia mai stato in Israele, sa che i principali luoghi di ritrovo come le strutture pubbliche sono sorvegliate da personale armato e metal detector nei punti di accesso. I controlli individuali sono la norma. A seconda delle ondate terroristiche, i locali aggiungono un supplemento nel ticket per sovvenzionare il personale armato all’entrata. Centinaia di soldati sono sempre dispiegati per proteggere i mezzi di trasporto pubblico a Gerusalemme. Gli aeroporti sono sempre in stato di allerta con delle misure di sicurezza che in Europe sarebbero “eccezionali”. L’Intelligence israeliana, infine, è ritenuta la migliore al mondo (ad un costo esorbitante) con tattiche in continua evoluzione. Dopo gli attacchi di marzo a Bruxelles, il ministro dell’Intelligence and Atomic Energy, Yisrael Katz, disse che “il Belgio non sarebbe stato in grado di combattere il terrorismo islamico se i suoi cittadini avessero continuato a mangiare cioccolato, godendosi la vita e definendosi grandi democratici e liberali”. La raccolta di informazioni dello Shin Bet, ad esempio, potrebbe essere visto come lesiva per l’equilibrio delle libertà civili degli europei.
Forse è l’atteggiamento nel reagire la principale differenza, per una distorta ed esasperata interpretazione del concetto di “porgere l’altra guancia”.
Israele convive con il terrorismo
Sarebbe opportuno rilevare che ci sono alcune differenze tra il terrorismo in Israele e la natura degli attacchi di Parigi ad esempio. Nel primo caso ad essere presi di mira sono solitamente i cittadini di Israele, mentre i terroristi di Parigi o San Bernardino, ad esempio, sembrano essere stati motivati ad uccidere casualmente con l’unico obiettivo di ampliare la propaganda dello Stato islamico. A causa della loro spontaneità ed autosufficienza, i terroristi (non direttamente associati ai gruppi radicali) restano difficili da contrastare.
Micky Rosenfeld, portavoce della polizia israeliana, precisa che “settimane prima delle celebrazioni del Giorno dell’Indipendenza, quando decine di migliaia di persone si riuniscono sul lungomare di Tel Aviv, schieriamo la nostra intelligence e blindiamo l’area a 360 gradi con diversi livelli di sicurezza lungo il perimetro”. Non è raro, in Israele, la vista di mezzi corazzati a ridosso delle principali manifestazioni pubbliche. In realtà, nelle principali città di Israele sono sempre attive, 24 ore su 24, diverse squadre antiterrorismo pronte a fornire una risposta rapida in caso di necessità. Gli israeliani in patria così come all’estero sono generalmente più preparati per il terrorismo rispetto alle altre società occidentali.
Sarebbe il momento di chiudere le frontiere e porre fine all’accoglienza, rispendendoli a casa, spiega l’ex capo dei servizi segreti israeliani NATIV, Yakov Kedmi.
“Messi in sicurezza i confini, l’Europa dovrebbe aumentare l’intensità della lotta contro l’Isis, rafforzando nel contempo le misure nei luoghi pubblici”.
Infine, conclude Kedmi con una frase che in occidente sarebbe politically incorrect (figuriamoci in Italia), l’Europa dovrebbe ripensare al principio politico di multiculturalismo e tolleranza.
Il mondo piange le vittime in Europa, ma in Israele si verifica un episodio terroristico con una media di 1,2 attacchi al giorno. Secondo l’IDF, dal 13 settembre 2015 al gennaio scorso, ci sono stati 110 accoltellamenti, 38 sparatorie 38 e 22 auto kamikaze, per un totale di 167 attacchi terroristici. Ma le minacce attualmente presenti in Occidente, sono quasi del tutto svanite in Israele. La differenza principale tra Israele e l’Europa sulla materia terrorismo è la reazione. L’Occidente condanna le violenza subita, ma non reagisce con le stesse emozioni.
Conclude Kedmi
“L’Europa dovrebbe rivedere il controllo su tutti i mezzi di informazione, ed istruzione. Non esiste un sistema di sicurezza perché manca la dottrina della lotta organizzata contro il terrorismo. Per invertire la tendenza per gli europei, è necessario prendere il controllo dei gruppi da cui escono i terroristi ed i mezzi di propaganda a cui sono interessati. Bisognerebbe rafforzare il coordinamento e l’interazione tra tutte le strutture dello Stato ed aumentare il livello professionale della polizia e dei servizi di sicurezza nella prevenzione di attacchi terroristici nei potenziali luoghi dove possono verificarsi”.