In Iraq esposto a sostanze tossiche, accolto ricorso di un militare
Otto mesi di missione in Iraq. Poi, al ritorno in Italia, i dolori al petto, i colpi di tosse rigati di sangue, la scoperta del linfoma non Hodgkin. Il Tar del Piemonte ha accolto il ricorso di un militare dell’Esercito che aveva chiesto, senza successo, un indennizzo per causa di servizio sostenendo che la malattia era legata all’esposizione a sostanze tossiche (non escluso l’uranio impoverito). I ministeri competenti – Economia e Difesa con le loro articolazioni – saranno chiamati a riaprire e ad approfondire il caso.
L’interpretazione dei giudici
Il motivo è che questa materia, secondo la lettura dei giudici subalpini, è regolata da una specie di «inversione della prova». Deve essere l’amministrazione a dimostrare che la patologia non è stata scatenata dal contatto con «gli elementi nocivi presenti nelle zone di guerra». Il ricorrente, caporal maggiore volontario, prese parte dal 23 agosto 2017 al 10 aprile 2018 all’operazione Prima Parthia. Era un componente del nucleo operativo interforze che addestrava la polizia irachena; gli capitò anche di fare l’istruttore di tiro per i peshmerga dell’esercito curdo e di partecipare al pattugliamento della diga di Mosul, sul fiume Tigri, punto chiave per la sicurezza dell’intera area. Quattro mesi dopo il rientro accusò i primi disturbi. Il Comitato di Verifica diede parere contrario al riconoscimento della causa di servizio. Ora però i magistrati hanno rimesso tutto in discussione perché – dicono – i documenti disponibili meritavano più attenzione.
Bisogna ricominciare da capo
In particolare viene citato uno schema di rapporto del capitano E.B. che descrive la località in cui il graduato si trovò con prevalenza ad operare: Atrush, nel Kurdistan iracheno, dove c’era la base del “Mobile Training Team”. Una zona rurale, punteggiata da «discariche a cielo aperto» e pozzi di petrolio, che in passato era stata «interessata da operazioni belliche» con «largo uso di munizionamento pesante anche all’uranio impoverito e conseguente dispersione nell’ambiente di metalli pesanti». E dove infuriano tempeste di sabbia «che rendono l’aria satura di polveri e particelle». Al caporale, inoltre, toccava maneggiare armamenti e apparecchiature non appartenenti all’Esercito italiano. Impossibile, quindi, escludere a priori che il militare non sia mai entrato in contatto con «agenti inquinanti» e non sia mai stato esposto a prodotti nocivi. La conclusione è che «non può essere considerata esaustiva» l’istruttoria che portò al diniego dell’indennizzo. Bisogna quindi ricominciare da capo.
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