Illegittima esclusione, per un tatuaggio alla caviglia, dalle procedure concorsuali per l’accesso alla polizia penitenziaria
Nell’ambito delle procedure di reclutamento della Polizia penitenziaria – antecedenti all’entrata in vigore (il 20 febbraio 2020) della novella recata dal d.lgs. n. 172 del 2019 all’art. 123 d.lgs. n. 443 del 1992 e nelle quali non era stata richiamata la disciplina stabilita per le assunzioni nella Polizia di Stato – è illegittima per difetto di motivazione l’esclusione di un candidato (che presentava, al momento della seconda visita psicoattitudinale, un tatuaggio sulla caviglia) dal prosieguo della procedura concorsuale con la mera indicazione della presenza di un tatuaggio in sedi non coperte dall’uniforme, ipotesi questa non prevista, almeno quale causa di esclusione vincolata e automatica, nel dal bando né dalla presupposta disciplina legislativa ratione temporis applicabile; soltanto la presenza di un tatuaggio con le caratteristiche di cui alla normativa rilevante (“deturpante o indice di personalità abnorme”) avrebbe potuto legittimamente condurre all’esclusione.
Ha, infatti, chiarito la Sezione IV del Consiglio di Stato che la disciplina applicabile per l’accesso alla Polizia penitenziaria si differenzia rispetto a quella riferita alle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli della Polizia di Stato, almeno sino al 20 febbraio 2020.
Con sentenze n. 1690 e n. 658 del 2020 la sez. IV del Consiglio di Stato era stato affermato che era stata data corretta applicazione alla tabella 1, punto 2, lett. b), allegata all’art. 3, d.m. 30 giugno 2003, n. 198 (cui rinviano, per l’accertamento dell’idoneità fisica e psichica, gli artt. 6 e 27 bis, d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335, relativi -rispettivamente – alla nomina degli appartenenti al ruolo agenti e assistenti e al ruolo ispettori, e l’art. 55 bis, d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, per la nomina del personale direttivo e dirigente).
A mente della predetta tabella i tatuaggi (anche in fase di rimozione) – e gli esiti cicatrizionali in genere, derivanti da qualunque causa se <<estese o gravi o che, per sede o natura, determinino alterazioni funzionali o fisiognomiche>> della cute – sono sempre causa di inidoneità, qualora: a) indipendentemente dalla dimensione o dal soggetto rappresentato, si trovino “nelle parti del corpo non coperte dall’uniforme” (dovendosi, a tal fine, fare riferimento a tutti i tipi di uniforme utilizzate o utilizzabili nell’ambito del servizio); b) a prescindere dalla collocazione in parti del corpo non coperte dall’uniforme, “per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme”.
Si tratta di un approdo esegetico coerente, per altro, con gli indirizzi della giurisprudenza del Consiglio di Stato formatisi prima della riforma del 2019 (cfr. ex plurimis sez. IV, 10 giugno 2013, n. 3153; sez. II, parere 18 aprile 2013, n. 2080/11; sez. IV, 24 gennaio 2012, n. 316; sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 504).
Alle procedure di reclutamento nella Polizia penitenziaria che si svolgeranno successivamente all’entrata in vigore della novella dell’art. 123, comma 1, lettera c), d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, nella versione modificata dall’art. 30, d.lgs. n. 172 del 2019, entrata in vigore il 20 febbraio 2020 (“Costituiscono causa di esclusione dai concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli e alle carriere della Polizia Penitenziaria le alterazioni volontarie dell’aspetto esteriore dei candidati, quali tatuaggi e altre alterazioni permanenti dell’aspetto fisico non conseguenti a interventi di natura comunque sanitaria, se visibili, in tutto o in parte, con l’uniforme indossata o se, avuto riguardo alla loro sede, estensione, natura o contenuto, risultano deturpanti o indice di alterazioni psicologiche, ovvero comunque non conformi al decoro della funzione degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria.”), troverà applicazione il nuovo testo del menzionato articolo, con la conseguenza pratica che i tatuaggi e gli esiti cicatrizionali visibili con l’uniforme costituiranno causa automatica di esclusione.
Tale disposizione, inoltre, trovando applicazione, in base al suo tenore testuale, ai concorsi per gli accessi a tutti i ruoli e carriere della Polizia penitenziaria, ha comportato l’abrogazione per incompatibilità, limitatamente alla parte relativa alla disciplina dei tatuaggi, dell’art. 9, comma 3, d.m. 6 aprile 2001, n. 236 che rinviava, per l’accertamento dei requisiti psico fisici dei candidati al reclutamento nei ruoli direttivi, al compendio normativo della Polizia di Stato e dunque, tout court (prima all’abrogato d.P.R. n. 904 del 1983 e successivamente), al d.m. n. 198 del 2003.
Con ciò, nella sostanza, allineandosi, in parte qua, le procedure di reclutamento nella Polizia di Stato e quelle nella Polizia penitenziaria, fermo restando l’approccio più rigoroso sotteso alla disciplina relativa a quest’ultima.