IL RIMORSO DEL GENERALE SUICIDA: “MI SENTO IN COLPA PER VITTIME DI RIGOPIANO”
(di Giovanni Sgardi) – Rigopiano uccide. Ancora. Non con il peso delle macerie, ma con quello del rimorso. Il rimorso che ha armato la mano dell’ex generale dei carabinieri forestali Guido Conti e lo ha spinto a premere il grilletto. Un colpo alla testa, in un boschetto vicino a Sulmona, la sua città, dove era arrivato con la Smart della figlia. A casa lo hanno atteso tutta la giornata di venerdì poi, verso le 22, il ritrovamento del corpo. Nella macchina due biglietti. Uno in particolare quello che rappresenta una sorta di testamento morale. Lo strazio di un uomo delle istituzioni che non sa darsi pace per i 29 morti nel resort sepolto dalla valanga lo scorso gennaio.
Guido Conti non era un investigatore qualunque. Basti dire che, quando comandava la Forestale di Pescara, aveva scoperto la cosiddetta discarica dei veleni di Bussi, uno dei siti più inquinati d’Europa tra piombo, mercurio e arsenico. Poi aveva inanellato un’inchiesta più importante dell’altra: quella sulla strada mare-monti in Abruzzo, sul G8 dell’Aquila, sull’elettrosmog provocato dai ripetitori tv abruzzesi. Trasferito a Perugia, aveva indagato sulla Thyssenkrup di Terni. Tante medaglie sulla divisa del generale di Brigata che, a 58 anni, ormai in pensione, gli erano valse l’assunzione come alto dirigente alla Total. Sembrava entusiasta di questo nuovo incarico, assunto lo scorso 11 ottobre con tanto di annuncio su Facebook. Poi, alla fine dello stesso mese, le dimissioni, la scomparsa dai social, il ripiegarsi in una vita silenziosa che non apparteneva certo al suo carattere. Probabilmente il tarlo di Rigopiano che era diventato un tormento insostenibile. Il timore, chissà, di essere toccato da un’inchiesta non ancora finita. Ed ecco i passi della lettera che lasciano capire il suo tormento. «Da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno. Perchè tra i tanti atti ci sono anche prescrizioni a mia firma. Non per l’albergo, di cui non so nulla, ma per l’edificazione del centro benessere, dove solo poi appresi non esserci state vittime. Ma ciò non leniva il mio dolore».
E ancora: «Pur sapendo che il mio scritto era ininfluente ai fini della pratica autorizzativa, mi sono sempre posto la domanda: potevo fare di più? Potevo scavare e prestare attenzione nelle indagini? Probabilmente no, avrei potuto forse creare problemi, fastidi. Pur non conoscendo neppure un rischio valanghe, vivo con il cruccio». Conti insiste con il concetto del rimorso: «Potevo fare di più? Non lo so, vivo con questa domanda». Si autoassolve il generale, ma al tempo stesso non si perdona. Forse immaginava quella sequenza di morte nel resort quando ha tirato fuori la pistola calibro 9 che aveva portato con sè. La canna alla tempia destra. Per un uomo tutto d’un pezzo come lui anche un remoto sospetto era una condanna. Anche lui, a suo giudizio, meritava di raggiungere le anime di Rigopiano. (Il Messaggero)