Il Comando nega ricongiungimento perché convivente non espleta attività lavorativa subordinata a tempo indeterminato. Il Tar: giusto che si riavvicinino
La sua compagna fa la personal trainer e questo, a rigor di regolamento, secondo l’interpretazione proposta dal Comando generale dell’Arma dei carabinieri all’appuntato che aveva chiesto di essere trasferito in Lombardia per ricongiungersi a lei, rappresenta motivo di inammissibilità della domanda.
«La convivente non espleta attività lavorativa subordinata a tempo indeterminato», recita il provvedimento di rigetto che gli era stato notificato il 9 marzo e che lui, in servizio alla sede di Udine del Comando Legione Friuli Venezia Giulia, non aveva esitato a impugnare.
Il Tribunale amministrativo regionale del Fvg ha accolto il ricorso, giudicando la motivazione opposta «non ragionevole».
A monte, un problema di punti di vista. Perché se è vero che la circolare richiamata dall’ufficio personale per negargli il trasferimento fa riferimento alla «crescente presenza di coniugi impegnati in attività lavorative», per il Tar c’è modo e modo d’interpretarne le indicazioni.
«L’impiego subordinato a tempo indeterminato – scrive il giudice estensore Luca Emanuele Ricci – non è certo l’unica tipologia di attività lavorativa per cui possa configurarsi una necessità di permanenza in loco del lavoratore, meritevole di considerazione dall’amministrazione di servizio del coniuge».
C’è anche chi, come nel caso sottoposto dal ricorrente, con l’assistenza legale dell’avvocato Giulia Milo, si è costruito un nome e una base economica come personal trainer.
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«Analoghe esigenze di stabilità territoriale – continua – caratterizzano le attività autonome che presuppongono clientela fidelizzata, rapporti continuativi e una reputazione professionale costruita nel tempo».
Va da sè, allora, come «il trasferimento in altra città comporterebbe la perdita di un importante avviamento professionale e, presumibilmente, di gran parte del reddito precedentemente ricavato.
Detto pregiudizio – conclude – non appare di minore rilevanza rispetto a quello correlato all’interruzione di un rapporto lavorativo subordinato, né quindi l’amministrazione è legittimata a ritenere l’interesse del lavoratore autonomo alla permanenza in una sede sempre e in assoluto soccombente».
Ferma restando «la discrezionalità organizzativa» dell’Arma nel valutare la ricorrenza dei «fondati e comprovati motivi» richiesti dal Regolamento di servizio, il Tar ha inoltre osservato come l’interpretazione proposta «pregiudichi irragionevolmente il coniuge o convivente di lavoratore autonomo che parimenti – ricorda – ha il diritto di “realizzare e vivere l’unità familiare che è significativo presupposto di serena disponibilità al servizio”».
Riaperta la strada al ritorno a casa – l’appuntato era stato spostato da Milano a Udine nel 2020 per «incompatibilità ambientale», in quanto sottoposto a indagini concluse con un’archiviazione -, il Comando generale dovrà intanto pagargli 1.500 euro di spese di giudizio.