I QUATTROMILA UOMINI D’ASSALTO DELLE FORZE SPECIALI ITALIANE
Intervengono per salvare vite quando tutti gli altri hanno fallito. Solo una donna ha superato i test d’ingresso. «Ma non è Hollywood, la paura c’è sempre» E’ lo speciale di Giusi Fasano e Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera che vi riproponiamo in questo articolo.
In situazioni di emergenza loro sono l’ultima risorsa possibile, quelli che entrano in azione quand’è vietato mancare l’obiettivo. E, tanto per capirci, un obiettivo ha quasi sempre a che fare con vite umane da mettere in salvo. Per esempio la liberazione di ostaggi su un aereo dirottato, l’evacuazione di una nostra ambasciata in zone e tempi ostili, terroristi da neutralizzare asserragliati da qualche parte, il recupero di un pilota abbattuto, un criminale da stanare con un’irruzione…
Il comandante Nicola Zanelli cerca le parole giuste per definire gli interventi delle sue squadre. «Siamo uno strumento risolutivo» riassume. «Se arriviamo noi è per vincere, la nostra presenza significa che tutti gli strumenti precedenti hanno fallito».
Le forze e i reparti
Benvenuti nel mondo a parte di uomini speciali, qualche migliaia di militari (il numero è top secret, dati non ufficiali parlano di «circa 4000 unità») agli ordini del comandante Zanelli, generale di divisione dell’esercito che guida il Cofs, Comando Interforze per le operazioni delle Forze Speciali. Un mondo teoricamente accessibile anche alle donne se non fosse che i corsi d’ingresso e gli addestramenti per arrivare al brevetto o alla qualifica richiedono una forza fisica così straordinaria che di fatto per una donna è quasi impossibile riuscire nell’impresa. Il risultato è che in Italia (ultimo fra i Paesi Nato a consentire l’ingresso delle donne nelle Forze Armate) la presenza femminile nei corpi speciali militari oggi non esiste. Zero.
Nel nostro Paese i reparti speciali militari sono quattro: il 9º Reggimento Paracadutisti d’Assalto Col Moschin (esercito); il Gruppo Operativo Incursori (marina militare), il 17º Stormo incursori (aeronautica) e il Gruppo Intervento Speciale dei carabinieri. Quattro corpi integrati dal 4º Reggimento Alpini Paracadutisti e 185º Reggimento Ricognizione e Acquisizione Obiettivi Folgore. Agiscono con armi e strumenti sempre più sofisticati, la loro iperspecializzazione — promossa come mai prima dal generale Claudio Graziano, capo di Stato Maggiore della Difesa — segue il cambiamento dello scenario militare generale: non più esercito di massa ma gruppi d’élite considerati fra i migliori al mondo sui teatri internazionali.
Le loro missioni, salvo casi eccezionali, sono all’estero mentre agiscono in Italia i Nocs, il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza della polizia (circa 150 persone, ma il numero esatto è segreto). I Nocs (non militari) sono il solo corpo speciale a poter contare anche su due donne, una soltanto delle quali operativa in azioni sul campo.
Fatica infinita
La parola d’ordine per un ragazzo che prova a entrare nelle Forze speciali (l’età massima cambia da una Forza all’altra ma siamo sempre intorno ai 30 anni) è volontà: una volontà così potente da superare prove al limite della resistenza psicofisica. Ma da sola la volontà non serve a nulla. Ci vuole anche un fisico perfetto e allenatissimo. Per intenderci: dopo la fatica infinita consumata per essere ammessi a un corso (su 100 richieste le ammissioni sono in media 18), si può essere scartati perché il controllo medico dice che il cuore ha un battito in più del dovuto. Uno solo. E quando ti ritrovi fra quei 18, poi, sei appena all’inizio del guado.
Il nemico più immaginato di ogni addestramento è sempre lui, il terrorista. Lui cambia modalità degli attacchi, armi. E il controterrorismo si adegua. Dalle aree in cui sono in corso situazioni critiche i dati su ogni attacco o tentativo vengono trasmessi in tempo reale dalle Forze Speciali ai vari Stati Maggiori di riferimento, in modo che nelle esercitazioni in corso in Italia si possa tener conto della «novità», diciamo così, e prevedere difese e contromisure aggiornate per le squadre in partenza.
Le prove psicofisiche
Ogni uomo conosce il punto esatto fino al quale può spingersi davanti a una minaccia. Lo impara a forza di prove durissime durante i corsi. Un esempio: c’è un tubo pieno d’acqua alto sei metri. Ti buttano dentro, al buio, tu devi scendere fino in fondo e poi entrare in un cunicolo laterale. Soltanto lì trovi dove respirare. Se non ci riesci puoi tornare a galla ma vuol dire che sei escluso dal corso. E poi marce zavorrate a tempo, prove di ardimento, tecniche di sopravvivenza, di evasione, di fuga .
Test che servono a conoscere i propri limiti per affrontare il rischio con coscienza. Devi sapere quanto vali, fino a quanto ti puoi spingere e quando devi fermarti. Per dirla con il comandante Zanelli: «Per dominare la paura devi conoscerti perché qui non siamo a Hollywood, la paura c’è sempre».
Si testano le resistenze psicologiche, la capacità di sopportazione, l’abnegazione. In uno degli ultimi corsi del Col Moschin un sergente ha cominciato senza saper nuotare, ha finito con un record: è arrivato primo (per tempo impiegato) nella prova che consiste in un giro a nuoto dell’isola Palmaria, davanti a Porto Venere, con la corrente che da una parte è a favore ma dall’altra è decisamente contro.
La selezione degli idonei
Alla fine di ogni corso su 100 partecipanti la media degli idonei è fra gli otto e i dieci, e questo vale anche per i Nocs.
Un uomo delle Forze speciali — non importa se militari o non — deve saper combattere in ogni ambiente e in ogni situazione indipendentemente dalla specializzazione della propria Forza di appartenenza. Dev’essere in grado di muoversi con la bussola in tempi strettissimi su un terreno sconosciuto, deve saper smontare e montare un’arma a occhi bendati, deve saper scendere con gli sci al buio da ogni pendio, saper resistere agli interrogatori del nemico se viene catturato, saper assistere se stesso e gli altri dopo eventuali ferimenti, essere un paracadutista e sapersela cavare anche in acqua. La velocità è uno dei dettagli che più di altri può fare la differenza fra la vita e la morte. Ai corsi si insegna che in caso di conflitto a fuoco in un ambiente abitato i primi tre secondi sono fondamentali e tutto quello che respira, se è riconosciuto come una minaccia, dev’essere colpito.
L’attrezzatura
L’equipaggiamento più completo — quello che garantisce in qualsiasi ambiente una sopravvivenza di due settimane e che comprende acqua, cibo, munizioni, strumenti per trasmettere, attrezzature per scavare, mimetizzarsi, nascondersi — pesa 45 chili. Ai quali vanno aggiunte le armi, il pugnale, l’elmetto e, possibilmente, il giubbino antiproiettile.
Addestramenti continui, azioni reali, pressione psicologica, tempi di reazione e resistenza fisica sono ovviamente una cosa a trent’anni, un’altra a cinquanta, età limite per l’operatività sul campo. Il fine carriera di militari che hanno passato una vita in azione o in perenne allerta è fra gli uomini «speciali» che verranno. Fra quei ragazzi che sognano l’ammissione al corso e, ancora di più, fra quelli che affrontano prove massacranti nel tentativo di passarlo.