Guardia di Finanza, elaborato Cocer sui sindacati militari
AUDIZIONE COCER INTERFORZE – SOTTOSEGRETARIO ALLA DIFESA ON. GIUSEPPE CALVISI
SUI DISEGNI DI LEGGE NN. 1893 – 1542
(Documento elaborato dai delegati del Consiglio Centrale di Rappresentanza della Guardia di Finanza, Guglielmo Picciuto e Daniele Tisci)
PREMESSA. – Si rappresenta che la Sezione CoCeR Guardia di Finanza non ha prodotto alcun documento approvato in sede assembleare. Esistono, invece, due documenti che raccolgono i consensi della medesima sezione.
VALUTAZIONI DI MERITO. – Occorre preliminarmente evidenziare che la sentenza 120/2018 della Corte Costituzionale, consentendo di sindacalizzare la parte “militare” del comparto Difesa – Sicurezza – Soccorso pubblico, a nostro giudizio, doveva indurre il legislatore ad una corretta e coerente omogeneizzazione della fin troppo diversificata applicazione dell’istituto sindacale nel comparto.
Si può difatti riscontrare un panorama pluralizzato in cui si passa dal pieno godimento della libertà sindacale per i Vigili del Fuoco, alla possibilità di essere rappresentati dalle Organizzazioni Confederali per la Polizia penitenziaria, al divieto di iscriversi ai Sindacati confederali per la Polizia di Stato, sino a giungere ad una paventata sindacalizzazione piena di paletti e compressioni del diritto, così come emergono dati testi dei disegni di legge in discussione, che a volte assumono, secondo il nostro modesto parere, la connotazione di vere e proprie violazioni alla libertà sindacale per gli appartenenti alle Forze armate ed ai Corpi di Polizia ad ordinamento militare.
D’altra parte, se valutiamo la breve genesi dei Disegni di Legge nn. 1893-1542 sulla libertà sindacale del personale militare, ci accorgiamo che l’iniziale architettura “parasindacale” concepita dai firmatari proponenti, si è presto trasformata in un progetto che ha sminuito la portata storica ed epocale della sentenza del Giudice delle Leggi.
In effetti, basta notare che il DDL iniziale ha assorbito nel corso delle audizioni tutte le proposizioni effettuate dalla parte pubblica (Stati Maggiori e Comandanti generali) e nulla ha raccolto delle proposte dei Cocer e delle neonate Associazioni a carattere sindacale, che pure si erano distinte, molto spesso, per competenza, equilibrio e buonsenso.
In particolare, si intende porre l’attenzione in merito alla previsione che:
- sottratta la condotta antisindacale al suo giudice naturale, chiaramente identificabile nella figura del Giudice del lavoro, affidandola, per i soli militari, al Giudice amministrativo, declassando, così di fatto, il diritto soggettivo dei militari al meno cogente interesse legittimo, ossia un diritto soggettivo affievolito dal preminente interesse pubblico. Purtroppo una tale previsione normativa, se dovesse andare in porto, non farà altro che alimentare un clima di tensione tra le parti in causa, contrariamente all’intento della previsione normativa che, nella sua composizione originale, voleva coerentemente eliminare, al fine di assicurare un preventivo rispetto delle regole di civile e comune convivenza;
- introdotto un limite di rappresentatività intercategoriale all’interno delle singole organizzazioni sindacali, limitando di fatto:
la crescita delle organizzazioni;
la libertà di scelta del lavoratore, in merito alla sigla alla quale affidare la cura dei propri interessi.
- introdotto un obbligo alla rappresentanza di tutte le categorie, creando di fatto, i presupposti di un “ricatto” da parte delle categorie meno rappresentative nel singolo sindacato, che potrebbero pretendere, pena l’uscita dall’organizzazione stessa e la conseguente perdita della rappresentatività acquisita, l’inserimento del soddisfacimento delle proprie aspettative professionali ed economiche nella politica sindacale dell’organizzazione, ancorchè, magari, rispondano esclusivamente ad una previsione utilitaristica personale;
- posta un’eccessiva limitazione alle materie di competenze delle nascenti organizzazioni sindacali che, fermo restante il naturale divieto a trattare argomenti riconducibili all’ordinamento ed all’operatività delle rispettive Amministrazioni, ovviamente condivisibile, non permetterebbe ai rappresentanti di dialogare e confrontarsi con la Dirigenza pubblica sulle più che elementari e necessarie tutele dei propri rappresentati, come quelle, ad esempio, della garanzia del giusto procedimento in sede disciplinare, del corretto percorso meritocratico attraverso la misurazione della performance, della partecipazione all’interno di moderni sistemi di controllo interno che garantiscano trasparenza e certezza del diritto.
Ci sarebbe quindi molto altro da aggiungere, ma gli esempi riportati dimostrano, senza bisogno di altro, che la gestione dei diritti dei cittadini militari continua a soccombere nonostante che la sentenza del Giudice delle leggi intendesse liberarla dalle restrizioni delle previsioni normative già dettate dall’articolo 1475 del C.O.M..
Eppure, siamo di fronte a cittadini che hanno firmato volontariamente un rapporto d’impiego che prevede delle compressioni dei propri diritti che, nella misura in cui sono giustificate da motivi di funzionalità degli apparati, sono pienamente accettate. Ma quando questo limite supera la ragionevolezza ed il buon senso assumono il carattere di veri e propri abusi sulla persona.
In altre parole, quando un soggetto di diritto (ed è il caso soprattutto del cittadino militare e del poliziotto) si riconosce nello Stato e nelle sue regole, lo stesso Stato dovrebbe conseguentemente riconoscergli un reale, concreto e commisurato diritto di cittadinanza nella misura più compiuta possibile.
Detto ciò, non possiamo, peraltro, non rilevare come la sindacalizzazione determinata dalla più volte richiamata sentenza della Corte Costituzionale, sia partita con una eccessiva frammentazione, che dimostra una oggettiva propensione, nella migliore delle ipotesi, alla soddisfazione della propria visione sindacale, piuttosto che la soddisfazione delle aspettative e dei bisogni professionali degli associati. Tali aspettative e bisogni sono, d’altra parte, le medesime per ciascun lavoratore.
Attesa questa oggettiva tendenza del sindacalismo contemporaneo ad una eccessiva frammentazione, che spesso si accompagna anche alla perdita del rispetto dei più basilari valori etico-sindacali, riteniamo che la soluzione individuata da diverse associazioni sindacali, che intravedono il superamento di un probabile vuoto rappresentativo, dovuto al passaggio dal sistema della Rappresentanza militare a quello della rappresentanza sindacale, attraverso il calcolo della rappresentatività sui numeri della forza sindacalizzata piuttosto che sui numeri della forza effettiva del Corpo di riferimento, sia la soluzione:
• più comoda per chi si accinge ad assumere ruoli dirigenziali all’interno del sindacato;
• meno funzionale per:
la crescita della cultura sindacale del comparto;
la certezza della tenuta democratica, che è inalienabile interesse della classe politica e delle Amministrazioni coinvolte;
il personale rappresentato.
A nulla attengono le analogie con le specifiche norme sulla sindacalizzazione della Polizia di Stato, che di fatto ha iniziato la propria storia sindacale attraverso la rappresentanza di una sola sigla sindacale, includente una significativa parte del personale, passando solo successivamente ad un pluralismo sindacale che, negli ultimi anni, sta assumendo i contorni di una eccessiva frammentazione tale da indurre le attuali organizzazioni sindacali a chiedere una modifica del calcolo, innalzando significativamente la soglia di rappresentatività.
La previsione, infatti, di un calcolo legato alla forza sindacalizzata, accompagnata persino da una bassa soglia, non solo accrediterebbe come significative ai fini della rappresentatività consensi evidentemente non riconosciuti di fatto dal personale, ma contribuirebbe a creare nella futura dirigenza sindacale una subcultura di facile accomodamento delle proprie visioni sindacali, costituendo uno sprone alla frammentazione e inducendo i gestori del facile consenso al tradimento dei valori basilari del sindacato, quali, a mero titolo di esempio:
l’unicità sindacale, ossia la tendenza a dirigersi verso il soggetto unico (fermo restando il riconoscimento del pluralismo) che agevola i rapporti tra personale e sindacato e tra quest’ultimo e le istituzioni;
l’unità sindacale e il principio di inclusività, che se correttamente intesi e perseguiti dalla dirigenza sindacale, producono la mediazione delle idee e, quindi, la risoluzione dei potenziali conflitti all’interno dello stesso contenitore sindacale.
Il rispetto di tali principi basilari, rappresenta quindi il migliore viatico per un corretto avvio della cultura sindacale del comparto e deve essere patrimonio di coloro i quali verranno chiamati dal personale a dirigere le future organizzazioni sindacali e non può essere semplicisticamente rimandata ai lavoratori.
Ma soprattutto rappresentano le pietre miliari della democraticità sindacale, che insieme al riconoscimento della personalità giuridica, sono gli unici requisiti richiesti e mai attuati, dal secondo comma dell’articolo 39 della Costituzione.
Attesa quindi, la riconosciuta peculiarità del mondo militare e la capacità innovativa, che ha consentito spesso al comparto di essere talvolta anche innovatore nel mondo civile, si suggerisce la possibilità che alle neonate Organizzazioni sindacali sia consentita la registrazione ed il riconoscimento della personalità giuridica al fine di consentire l’applicazione del diritto positivo (e compiuto) delle associazioni riconosciute (ex art. 14 e ss. C.C.), atteso che, molto spesso ed a tutt’oggi, la vacuità, la pochezza numerica e sostanziale delle regole a cui sono assoggettate le associazioni di persone non riconosciute, hanno consentito una nefasta indeterminatezza delle regole basilari del buon vivere comune.
In fondo, se è vero che ci troviamo in un contesto in cui l’interesse del lavoratore è categorizzato come privatistico, è pur vero che si tratta di interessi diffusi, che hanno una ricaduta importante nel campo pubblicistico e che sono quindi meritevoli di una reale rappresentatività, che non può esaurirsi nelle esigenze esistenziali delle strutture sindacali, ma che deve trovare invece sostanza e vita nella volontà dei lavoratori.
Evitare la parcellizzazione delle idee e una surreale rappresentatività condizionata da un rapporto numerico di minoranza, nonché la dispersione dei progetti lungimiranti a tutela del personale, permetterebbe di condensare in contenitori confederativi le varie compagini associative, consentendo una razionalizzazione delle risorse sindacali che portino alla legittimazione più ampia e compatta di interlocutori credibili, sostenuti da una maggioranza e da una minoranza nel rispetto dei corretti equilibri democratici.
La perdita d’identità che va al di là della crisi di rappresentanza dei corpi sociali intermedi tocca la natura, la funzione e il ruolo della missione sociale del sindacato italiano. Oggi, la stessa opinione pubblica ha pareri contrastanti. Per una parte di essa il sindacato rimane uno strumento della prima Repubblica legato a un modello di lavoro, quello fordista, che non esiste quasi più.
Altri ritengono che la fatica di rappresentare le nuove forme di lavoro dei giovani e i lavoratori privi di tutele rappresenti una sospensione della democrazia.
Il compito dei sindacati è mutato nel tempo, la loro organizzazione si è appesantita, il linguaggio sembra desueto, mentre l’impatto della loro azione sociale si è affievolita.
I sindacati, dal loro punto di osservazione, hanno visto mutare il contesto culturale nel quale sono nati.
In questo momento storico i sindacati presenti da decenni nel panorama nazionale hanno più paure che proposte, sono più rivolti a rimpiangere il passato che a sognare un nuovo modello per il futuro. Certo, temono che la politica imponga loro di registrarsi per sottoporsi al controllo dello Stato e adempiere il dettato costituzionale, oppure che imponga loro il modello francese che abilita alla contrattazione collettiva solamente quei sindacati che, sottoponendosi a test periodici, diano prova di essere rappresentativi. Tuttavia, la vera spada di Damocle per il sindacato è la difficoltà di cogliere in tempo le aspettative delle nuove generazioni e di affrontare tempestivamente le sfide sociali ed economiche del mondo del lavoro, per contrastare i fenomeni di crisi non più solo nazionali, ma soprattutto internazionali.
Non dimentichiamo che stiamo parlando di corpi sociali che possono e debbono diventare i necessari anticorpi per le rischiose derive corporativistiche ed autoreferenziali, cui possono incorrere gli appartenenti ad un delicato comparto come quello della sicurezza e difesa. I principi garantisti e il rispetto di ogni cittadino innanzi alla Legge, permeano le fondamenta della nostra Carta e debbono essere difesi più saldamente proprio da coloro che si pongono a rappresentare gli interessi del personale di questo Comparto.
Solo attraverso una vera cultura sindacale, basata sul rispetto dei valori e sostenuta in primis dal consenso diretto ed espresso dei rappresentati, si pongono le basi per un rapporto corretto e fruttuoso tra il personale e le Amministrazioni di riferimento.
Delegati Co.Ce.R. della Guardia di Finanza
F.to Guglielmo Picciuto_
F.to Daniele Tisci