(di Corrado Barbacini) – Quando aveva ricevuto la busta
con la contravvenzione aveva pensato ad uno scherzo. Nessuno l’aveva fermata
mentre era al volante e non aveva nemmeno visto poliziotti o carabinieri ai
lati della strada. Ma non era uno scherzo e Maria Teresa R., la protagonista
della vicenda, se n’era ben presto resa conto: quella multa era vera ed era
stata firmata da un carabiniere che, seppure fuori servizio, l’aveva pizzicata
mentre parlava al telefonino, alla guida della sua automobile, lungo il
raccordo autostradale.
Vera, verissima la multa, dunque.
Vero il verbale. Vero il taglio dei punti della patente. Maria Teresa, però,
non si era rassegnata. E, con l’assistenza dell’avvocato Alessandro Tudor, si
era rivolta alla magistratura che, adesso, le ha dato ragione: il giudice di
pace Francesco Pandolfelli ha infatti sancito che quella
contravvenzione è stata assolutamente illegittima. E ha spiegato il motivo:
quando gli agenti o i carabinieri operano sulla strada devono essere
assolutamente visibili. In altri termini non possono lavorare in borghese se non
in particolari situazioni come, ad esempio, quella di un’indagine disposta
dalla procura che necessiti di un appostamento o di un pedinamento.
La
vicenda, che potrebbe fare la gioia di molti automobilisti, porta la data del 9
dicembre dello scorso anno. Alle 9.40 Maria Teresa era alla guida della sua
auto e stava percorrendo il raccordo «facendo uso di un telefono cellulare
tenuto con la mano destra all’altezza dell’orecchio destro», come si legge nel
verbale delle forze dell’ordine. Sempre in quel verbale si precisa che il
carabiniere artefice della multa «dava atto di non aver potuto procedere alla
contestazione immediata dell’infrazione perché accertata da bordo
dell’autovettura da diporto e in abiti civili». Il militare, insomma, se ne
stava andando per gli affari suoi e non era certo di pattuglia quando aveva
incrociato l’automobilista attaccata al telefonino e aveva deciso di multarla.
Un comportamento, questo,
“bocciato” dal giudice di pace. «Gli agenti che operano sulla strada devono
essere visibili a distanza mediante l’uso di appositi capi di vestiario oppure
devono essere in uniforme». Poi precisa che queste attività possono essere
svolte in abito civile quando ciò sia strettamente necessario e questo venga
autorizzato» scrive Pandolfelli nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi
ricordando, nel caso specifico, che la «contravvenzione è stata accertata da un
carabiniere in abiti civili che si trovava “in itinere”, libero dal servizio e
su un veicolo privato».
Il giudice affronta anche la
questione della mancata contestazione immediata: «Queste situazioni
rappresentano un’eccezione al principio generale». Non solo. Aggiunge che
quando gli agenti o i carabinieri non sono in uniforme «devono fare uso di un
apposito segnale distintivo e, per l’intimazione dell’alt devono esibire, in
modo chiaramente visibile, il segnale distintivo e anche la loro tessera
personale». Osserva che l’intimazione dell’alt ad opera di agenti anche a bordo
di veicoli privati «deve essere eseguita sorpassando il veicolo da fermare ed
esibendo dal finestrino il segnale distintivo». Fatti questi che non si sono
mai verificati. Da qui appunto l’accoglimento del ricorso.