Figliuolo: “Chi molesta non può essere un alpino. Il sessismo va fermato”
È il decano del Corpo, la penna nera più famosa d’Italia e sabato a Napoli lo aspetta il bagno di folla tra le decine di migliaia di alpini in divisa e dei simpatizzanti dell’Associazione che arriveranno in città per i 150 anni della fondazione del Corpo battezzato a Napoli il 15 ottobre 1872 da Vittorio Emanuele II. «Sarà un’esperienza straordinaria tornare a Napoli, dove nacquero gli alpini e dove sfileranno le bandiere di guerra di tutti i suoi reggimenti, alla presenza di migliaia di penne nere venute da tutta Italia», dice il generale Francesco Paolo Figliuolo dal suo bunker del Comando operativo di vertice interforze dello stato maggiore della Difesa.
Generale, gli episodi di molestie denunciati a Rimini durante l’adunata nazionale degli Alpini meritano una riflessione.
«Tolleranza zero su qualsiasi episodio di molestie sessuali, che vanno condannate senza distinguo. Mi risulta che le denunce sporte a Rimini non siano state suffragate da prove, ma se fossero accertate responsabilità da parte di chiunque, bisognerebbe agire di conseguenza. Certi comportamenti sono quanto di più lontano possa esistere dai valori di rispetto e solidarietà propri dell’universo alpino. Sarebbe veramente surreale immaginare che il rispetto e l’attenzione per l’altro sesso siano stati sostituiti da atteggiamenti sgraditi e molestie. Ciò detto, dobbiamo essere consapevoli che il sessismo e i pregiudizi passano dal linguaggio, dal modo di pensare e di agire. Occorre un impegno da parte di tutti per superare gli stereotipi e i pregiudizi che creano fraintendimenti e sofferenze nei rapporti tra uomini e donne. Nelle Forze armate c’è assoluta parità di genere e poche settimane fa abbiamo visto le prime donne nominate al comando di battaglioni. La naturale evoluzione di un percorso paritario iniziato più di vent’anni fa».
Gli italiani la conoscono come l’uomo che ha guidato la più grande campagna vaccinale. Qual è stata la sfida più grande? Quella della pandemia o adesso quella del comando operativo dello stato maggiore della Difesa in un momento in cui l’Italia sente la guerra vicina come non l’ha mai sentita?
«La gestione della campagna vaccinale è stata una sfida inattesa, di grande complessità e soprattutto urgente. Bisognava agire in fretta e bene per proteggere i nostri concittadini da un virus infido che ogni giorno mieteva centinaia di vite. La priorità era mettere al sicuro le persone fragili e gli anziani e poi attuare un notevole sforzo logistico per la somministrazione dei vaccini che fosse di massa ma anche capillare. L’approccio integrato tra tutte le componenti operative della Difesa è oggi uno dei cardini del mio ruolo di Comandante da cui dipendono tutte le operazioni interforze nazionali e internazionali, tra le quali figurano quelle a presidio e vigilanza del fianco orientale della Nato. Mettere a sistema le eccellenze della nostra Difesa è fondamentale per affrontare le sfide globali alla sicurezza».
Il Covid sembra non fare più paura. Si sta proseguendo sulla strada giusta?
«L’elevato numero di vaccinazioni raggiunto ha fatto registrare un forte calo dei decessi e dei ricoveri, e il virus sta mutando con forme dagli effetti meno severi. Ma occorre tenere la guardia alta, specie nei confronti delle persone più vulnerabili. Mi sento di consigliare specie per questi ultimi e per i più anziani di sottoporsi quanto prima alla quarta dose».
Il suo nome viene spesso richiamato per ogni tipo di emergenza. Si è mai sentito un uomo solo al comando?
«Mai. Le emergenze complesse si affrontano con la collaborazione. Le fasi più difficili della pandemia sono state superate grazie al sistema Paese. L’Italia che fa squadra vince».