Esercito, Tenente Colonnello allude ad una relazione sessuale di un Caporal Maggiore Scelto con altro ufficiale. Condannato per ingiuria ad inferiore
La vicenda riguarda un Tenente Colonnello dell’Esercito Italiano in servizio presso il Policlinico militare “Celio” di Roma, il quale, in più occasioni, all’interno degli uffici e anche al cospetto di svariati militari, offendeva il prestigio e l’onore di un Caporale Maggiore Scelto in sua presenza, rivolgendole battute di vario tenore con le quali si faceva allusione all’esistenza di un rapporto di tipo sessuale con altro Ufficiale in servizio nel medesimo reparto. Il Tribunale militare di Roma affermava la penale responsabilità dell’imputato.
Secondo la valutazione del Tribunale, alla luce delle risultanze processuali, si doveva pervenire ad un giudizio di responsabilità penale del giudicabile. In base, infatti, alle testimonianze assunte emergeva che i rapporti tra il personale facente parte del Reparto Supporti del Policlinico militare di Roma erano molto cordiali e distesi, ma, ad un certo punto, l’imputato aveva cominciato ad assumere un atteggiamento con cui insinuava spesso l’esistenza di una relazione sentimentale tra il Caporale ed altro Tenente Colonnello in servizio nel medesimo reparto. Ciò avveniva soprattutto con battute ed allusioni rivolte al militare parte offesa in presenza di altre persone.
La condotta dell’imputato si manifestava anche con atteggiamenti ambigui fintamente protettivi nei confronti della donna tanto da inviarle dei messaggi la sera per chiedere spiegazioni sui motivi per i quali l’aveva vista giù di tono la mattina ed offrendo il suo aiuto in caso di bisogno, non considerando che la donna era coniugata con altro militare anch’egli in servizio presso il Policlinico militare sia pure in altro ufficio. Messaggi che secondo il Tribunale Militare lasciavano trapelare un interesse di natura non professionale che poteva essere individuato come movente dell’atteggiamento ingiurioso.
La situazione giungeva ad un punto tale da costringere la parte civile ad andare a rapporto con il suo superiore, cui riferiva i comportamenti ingiuriosi del Ten. Colonnello. Dopo aver ascoltato la versione dei fatti, il Comandante trasferiva il Caporale Maggiore Scelto ad un altro ufficio allo scopo di tutelarla dalle condotte e frasi improprie dell’imputato.
Dato il tenore letterale delle frasi riportate dai testi e dalla p.o. (ti manca, voi due ve la intendete, ecc.), a giudizio del Collegio di primo grado, non poteva esservi dubbio sul tipo di rapporto cui l’imputato faceva frequenti allusioni; rapporto che aveva natura sentimentale e non lavorativa e risultando evidente l’offesa all’onore ed alla dignità di una donna che, nel proprio ambiente professionale e in occasione di rapporti di servizio, veniva fatta oggetto di parole ed espressioni da parte di un superiore con inevitabili ripercussioni negative sia in campo lavorativo che in ambito familiare.
La corte Militare di Appello
In appello, il ricorrente ha descritto la parte offesa come persona molto espansiva ed aperta, amante delle battute su di sé, sulla propria vita famigliare, mentre il Tenente Colonnello era più serioso e cercava di riportare i suoi collaboratori ad una serietà nel lavoro, in ossequio ai propri doveri. Il ricorrente rilevava come propria condotta fosse improntata alla necessità di riportare la situazione nei termini di “accettabile serenità” e, allo stesso tempo, di adoperare i medesimi strumenti di scherzo usati dai colleghi senza voler insinuare alcunché, sottolineando che le frasi pronunciate non avessero alcuna volontà lesiva ed ingiuriosa, ma, anzi, all’unico scopo di conformarsi al tenore delle conversazioni e battute di cui l ‘ufficio era teatro.
La Corte Militare di Appello non ha accolto il ricorso, confermando la condanna. Non vi sono dubbi – secondo il Collegio – circa la sussistenza nella fattispecie in esame dell’elemento soggettivo ed oggettivo del reato di Ingiuria ad inferiore. E’ evidente la carica ingiuriosa presente nella accertata condotta del prevenuto, il quale, abusando della superiorità in grado e funzionale, si lasciava andare al comportamento lesivo della dignità dedotto nell’imputazione in danno del Caporale Maggiore Scelto. Quest’ultima veniva lesa nella sua immagine in ambito lavorativo e per di più di fronte ai colleghi. Particolare riprovevolezza deve attribuirsi alla circostanza che il Ten. Col. ben sapeva che la parte civile aveva il coniuge che prestava servizio sempre all’interno del Policlinico militare del Celio e che quindi le ripetute allusioni ad una relazione sentimentale tra la donna ed altro ufficiale avrebbero potuto danneggiarla non solo da un punto di vista professionale, ma anche personale. Sotto il profilo soggettivo, la sussistenza del dolo non è scalfita dall’animus di correggere/aiutare/riportare ad una maggiore serietà il contesto lavorativo e la p.o. come sostenuto dal ricorrente. Tali obiettivi, che eventualmente l’imputato potesse essersi prefigurato di realizzare con la sua condotta, non sono assolutamente idonei ad influire sulla coscienza e volontà di offendere l’onore e la dignità del Caporale Maggiore Scelto.