Avvocato Militare

Decoro dell’uniforme o sicurezza personale? Il Consiglio di Stato annulla punizione a Carabiniere per uso di casco da boxe durante intervento

(di Avv. Umberto Lanzo)

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di un brigadiere dei Carabinieri contro una sanzione disciplinare inflittagli per aver indossato un casco da pugilato durante un delicato intervento notturno. La sentenza ribalta il precedente verdetto del TAR Lombardia, che aveva confermato la legittimità del provvedimento disciplinare.

I fatti contestati

Il caso risale al 29 maggio 2022, quando il militare, durante un servizio di pattuglia alle 3:10 del mattino, è intervenuto per fronteggiare una persona in stato di agitazione che si era barricata nel proprio appartamento. In tale occasione, il brigadiere ha indossato un casco da pugilato come protezione. Successivamente, il 4 luglio 2022, lo stesso equipaggiamento è stato trovato nel bagagliaio della sua auto di servizio.

Le motivazioni della sentenza

Il Consiglio di Stato ha rilevato significative carenze nell’istruttoria che ha portato alla sanzione del rimprovero. La situazione di emergenza – caratterizzata da una persona armata di spranga che minacciava di far esplodere il gas – giustificava secondo i giudici l’utilizzo di protezioni personali. L’assenza di dispositivi di protezione standard ha reso comprensibile il ricorso a un’alternativa temporanea, considerata la necessità di proteggere la propria incolumità in una situazione di oggettivo pericolo.

La forma prima della sostanza: quando il decoro dell’uniforme prevale sulla sicurezza

La vicenda ha ovviamente sollevato interrogativi profondi sulle priorità dell’Arma dei carabinieri. Da un lato un sottufficiale che, in una situazione di estremo pericolo, cerca di proteggere la propria incolumità con un semplice casco da boxe. Dall’altro un apparato burocratico che, anziché apprezzare il senso di responsabilità dell’operatore, avvia un procedimento disciplinare focalizzato più sulla forma che sulla sostanza.

Il prezzo della difesa

Particolarmente grave appare la circostanza che il brigadiere, per difendersi da una contestazione palesemente infondata, sia stato costretto a sostenere l’onere di un ricorso gerarchico e due gradi di giudizio amministrativo. Un dispendio di energie e risorse economiche che si sarebbe potuto evitare con una più attenta valutazione iniziale delle circostanze concrete dell’intervento.

La lezione del Consiglio di Stato

La sentenza del Consiglio di Stato assume un valore emblematico: ricorda all’amministrazione militare che il decoro dell’uniforme, per quanto importante, non può prevalere sul diritto-dovere dell’operatore di proteggere la propria incolumità nell’adempimento del servizio. Una lezione di buon senso che, si spera, possa guidare future valutazioni disciplinari verso un maggiore equilibrio tra forma e sostanza, tra apparenza e sicurezza effettiva del personale.

L’amaro epilogo di una vittoria processuale

Se da un lato la sentenza ha reso giustizia al brigadiere, dall’altro resta l’amarezza per un procedimento disciplinare che non doveva nemmeno iniziare, considerate le evidenti circostanze giustificative. L’aver costretto un sottufficiale a sostenere l’onere di una lunga battaglia legale per difendersi da una contestazione manifestamente infondata rappresenta non solo uno spreco di risorse pubbliche e private, ma anche un segnale potenzialmente demotivante per tutti quegli operatori che quotidianamente devono prendere decisioni difficili in situazioni di emergenza.

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