Crosetto e il dibattito sull’intelligence militare in Italia
Secondo alcuni osservatori, i tempi potrebbero essere maturi per un cambio di passo e per un possibile aggiornamento del sistema, volto a garantire al personale militare strumenti e tutele più adeguati alle esigenze operative.
L’idea alla base di questa riflessione è che l’Italia non possa permettersi una Difesa rallentata da vincoli burocratici, in un contesto internazionale segnato da guerre ibride, minacce informatiche e scenari asimmetrici in continua evoluzione.
Il freno di Palazzo Chigi
Eppure, a Palazzo Chigi le sirene dell’intelligence militare trovano orecchie prudenti. La premier Giorgia Meloni e il sottosegretario Alfredo Mantovano temono che toccare gli equilibri dei Servizi a un anno e mezzo dalle elezioni possa trasformarsi in un boomerang politico.
Ad agosto, una bozza di decreto trapelata aveva anticipato una riforma della Difesa che avrebbe spalancato al ministero di Crosetto l’accesso ai registri segreti del “perimetro cyber”, dati oggi custoditi da Servizi e Viminale. Ma, dopo il clamore estivo e le ombre dei casi Almasri e Paragon, da Chigi è arrivato lo stop.
Intanto, tre proposte di legge parlamentari – firmate dagli azzurri Mulè e Minardo e dalla meloniana Chiesa – sognano un esercito di hacker sotto l’egida della Difesa, con poteri equiparabili a quelli dell’Aise e dell’Aisi. Ma anche qui, per ora, il freno resta tirato.
Le addettanze militari, un capitale strategico sottoutilizzato
C’è però un’altra verità, scomoda ma innegabile, di cui il ministro Crosetto è ben consapevole: la Difesa dispone già di un patrimonio d’intelligence altamente qualificato, troppo spesso ignorato.
Le addettanze militari, dislocate nelle ambasciate e presso le rappresentanze permanenti, sono un presidio strategico. Gli Addetti Militari coltivano relazioni con le forze armate dei Paesi ospitanti, raccolgono informazioni sensibili, analizzano sviluppi geopolitici e forniscono supporto diretto agli ambasciatori. In poche parole, sono i sensori avanzati della sicurezza italiana nel mondo.
Eppure, nonostante la complessità della loro missione, il mandato triennale imposto oggi ne limita l’efficacia. Tre anni bastano appena per orientarsi nei meccanismi locali, comprendere i codici di potere e guadagnarsi la fiducia degli interlocutori.
Rendere il mandato quadriennale, come già avviene in diversi Paesi alleati, sarebbe più che una riforma: un investimento d’intelligenza. Più continuità, meno sprechi, e una presenza più profonda nei contesti che contano davvero. Nei palazzi romani lo sanno bene: in diplomazia – e nell’intelligence – il vero potere è il tempo. E Crosetto questo lo ha capito perfettamente.
Il II Reparto Informazioni e Sicurezza: la spina dorsale nascosta
Cuore pulsante dell’intelligence militare italiana è il II Reparto “Informazioni e Sicurezza” dello Stato Maggiore della Difesa. È qui che si definiscono le linee strategiche per l’intelligence tecnico-militare, la guerra elettronica e la sicurezza delle Forze Armate.
Il Reparto coordina le attività di sicurezza, controinformazione e polizia militare, dirige la ricerca informativa ad alta tecnologia, e gestisce il delicato equilibrio con le strutture internazionali della NATO, dell’ONU e dell’OSCE.
Un sistema già esistente, efficiente e perfettamente integrabile in un’eventuale riforma. In altre parole, la squadra c’è già. Crosetto lo sa bene: non serve inventare nulla, basta potenziarla, darle copertura politica e riconoscere ciò che è già, di fatto, un servizio d’intelligence militare operativo.
E forse è proprio qui che si gioca la partita più vera – non su nuove leggi, ma sulla volontà di far funzionare davvero ciò che l’Italia ha già costruito, in silenzio, dietro le quinte.
Un sistema nato ben prima che Crosetto ne facesse una bandiera, ma che solo ora, con lui alla guida della Difesa, può finalmente trovare una forma compiuta e diventare pienamente operativo.
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