Corte Costituzionale, anche agli psicologi militari deve essere consentito l’esercizio delle attività libero professionali
E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 210, comma 1, del Codice militare nella parte in cui non contempla, accanto ai medici militari, anche gli psicologi militari tra i soggetti a cui, in deroga all’art. 894 del codice medesimo, non sono applicabili le norme relative alle incompatibilità inerenti l’esercizio delle attività libero professionali, nonché le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale, per sospetta violazione degli artt. 3, 4, 32, 35, 97 e 98 Cost.
Il Consiglio di Stato con quale giudice a quo, ha introdotto la questione di legittimità costituzionale del dell’art 210, comma 1, D.Lgs. 15/03/2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) nella parte in cui non contempla, accanto ai medici militari, anche gli psicologi militari tra i soggetti a cui, in deroga all’art 894 del codice medesimo, non sono applicabili le norme relative alle incompatibilità N. 03286/2017 REG.RIC. inerenti l’esercizio delle attività libero professionali, nonché le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale per sospetta violazione degli articoli 3, 4, 32, 35, 97 e 98 della Costituzione.
IL PRONUNCIAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Ha chiarito la Sezione che anche nell’attuale formulazione dell’art 210 C.O.M. la ragione della deroga all’obbligo di esclusività dell’impiego prevista a favore dei medici militari si identifica, come nel quadro normativo previgente, in esigenze di interesse generale, sia della collettività civile che dell’amministrazione militare, esigenze che il medico militare è in grado di soddisfare per la peculiarità della sua figura, la quale deve assommare alle doti professionali tutte le più spiccate virtù militari (art. 209 C.O.M.). Questa duplice dimensione (medica e militare) ha sempre rappresentato e continua a rappresentare, quindi, l’essenza e il fondamento della deroga alla regola dell’incompatibilità a favore degli ufficiali medici al fine di consentire l’osmosi tra esperienza nel contesto civile e professionalità nel settore militare.
A differenza della disciplina previgente, tuttavia, l’art. 210 C.O.M. si inserisce in un quadro normativo (e sociale) in parte mutato e segnato dall’emergere, tra le professioni sanitarie, della professione dello psicologo, il cui esercizio, subordinato all’iscrizione in un apposito albo e allo svolgimento di uno specifico percorso formativo, è inibito anche ai laureati in medicina (ad eccezione dell’attività di psicoterapia: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 25 settembre 2007, n. 4940 in ordine all’impossibilità, per i professionisti medici, di esercitare la psicologia clinica, in quanto riservata agli psicologi).
Con la l. 18 febbraio 1989, n. 56 (Ordinamento della professione di psicologo) è stata, quindi, introdotta la figura dello specialista psicologo che esercita, al pari del medico, un’attività professionale a legittimazione riservata e volta alla cura della salute e del benessere della persona.
Ha aggiunto l’ordinanza che nel caso dell’attività psicoterapeutica, inoltre, le due figure professionali di medico e di psicologo sono chiamate ad erogare prestazioni non meramente complementari in vista della tutela del medesimo bene salute, ma sostanzialmente identiche con conseguente obbligo di iscrizione nel medesimo albo (art. 3, l. n. 56 del 1989). Come il medico si identifica nel professionista, iscritto ad un apposito albo, a cui l’ordinamento riserva le prestazioni medico chirurgiche, la cui finalizzazione alla cura della salute – nella duplice dimensione di diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività – è alla base dell’alto valore assiologico riconosciuto dall’ordinamento giuridico e dal contesto sociale, così lo psicologo è il professionista, del pari iscritto a un apposito albo, a cui l’ordinamento riserva le prestazioni di carattere psicologico e socio riabilitativo finalizzate alla cura della salute, con la prevenzione e l’eliminazione del disagio psichico e dei disturbi psicologici. Si tratta di una figura professionale chiamata a dare risposta alle sempre più pressanti istanze di cura provenienti dal contesto sociale, contrassegnato dal costante e continuo incremento dei fenomeni di disagio (dai disturbi nei comportamenti alimentari, alla ludopatia, ai fenomeni di disagio giovanile, fino ai più recenti episodi di disagio, individuale, familiare e sociale, legati all’emergenza pandemica), istanze che hanno contribuito a mettere in risalto una nuova dimensione del diritto alla salute, quello della salute mentale, che non può essere declinata riduttivamente nel senso della mera assenza di patologia psichiatrica, ma che impone di considerare il sostrato immateriale dell’essere umano e la sua capacità di relazionarsi con i propri simili. Si tratta di aspetti dell’individuo che, per la loro delicatezza e complessità, non possono che essere affidati alle cure di una figura professionale specializzata a cui deve essere riconosciuto un valore assiologico non inferiore a quello del medico.
Ciò posto per quanto attiene ai contorni della figura professionale e alla natura delle prestazioni in rapporto a quelle del medico (anche sotto il profilo dei bisogni che le due categorie a confronto sono chiamate a soddisfare) e spostando l’attenzione sulla disciplina del rapporto di pubblico impiego con il SSN, si osserva che medici e psicologi, entrambi inquadrati nel ruolo unico della dirigenza sanitaria, sono accomunati dall’identica possibilità di svolgere attività libero professionale, sia intramoenia che extramoenia (artt. 15, 15 quater, 15 quinquies, 15 sexies, d.lgs 502 del 1992; art. 3 d.P.C.M. 27 marzo 2000 che precisa come le disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria si applicano, oltre al personale medico chirurgo, anche alle professionalità del ruolo sanitario, tra cui gli psicologi; Corte cost. n. 54 del 31 marzo 2015 che, occupandosi dell’attività libero professionale intramuraria del personale della dirigenza del ruolo sanitario, ha precisato che si tratta di materia inerente alla “tutela della salute”).
Tornando allo specifico settore delle Forze Armate, si osserva in via preliminare che, in conformità con l’obbligo di interpretazione costituzionalmente conforme quale vaglio preliminare indispensabile per la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il Collegio ha esaminato la possibilità di ravvisare la ratio della disparità di trattamento nella diversità di ruoli (ruolo normale per i medici e ruolo speciale per gli psicologi) e di progressione di carriera delle due categorie al fine di ritenere la non assimilabilità delle situazioni.
Ad avviso della Sezione la diversità di ruoli e di carriera non consenta di superare il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione. La diversità rilevata, infatti, afferisce al rapporto di lavoro con l’amministrazione militare e si fonda sul differente profilo professionale (medico, da un lato, e psicologo, dall’altro), ma rimane estranea al tema dell’attività libero professionale, così come, nell’ambito del SSN, il diverso profilo professionale non osta alla previsione dello svolgimento dell’attività libero professionale, anche extramoenia, per entrambe le categorie.
Quanto alla posizione dell’ufficiale psicologo rispetto a quella dell’ufficiale medico, reputa il Collegio che, fermo restando le diversità di ruoli e di carriera nell’ordinamento militare, sul piano dell’attività libero professionale entrambe le categorie siano in grado di offrire un prezioso contributo, arricchito dall’esperienza maturata nel settore, alla tutela della salute degli appartenenti alla comunità civile, elevando, al contempo, la propria professionalità con l’esperienza maturata nel contesto sociale, nell’interesse della stessa Forza Armata.
In definitiva, è dall’angolo visuale delle prestazioni erogabili dalle due categorie di professionisti – in quanto volte alla tutela del medesimo bene salute e sul presupposto della pari dignità costituzionale della salute mentale rispetto a quella fisica – che emerge la possibile irragionevolezza della scelta legislativa, non rinvenendosi alcuna ragione del trattamento differenziale in specifiche esigenze di Forza Armata, la quale, al contrario, trarrebbe vantaggio dall’esperienza maturata nel servizio reso alla comunità sociale, disponendo di personale specializzato, dotato di notevole duttilità di impiego e in grado di intervenire efficacemente nei più vari scenari di crisi, dalle pubbliche calamità alle operazioni militari internazionali, a favore della popolazione civile, oltre che del personale militare.