Chiara Giamundo, la prima donna a entrare nel Gruppo operativo subacquei (Comsubin)
E non chiamatela palombara, è il nome di un’imbarcazione. «Io sono un palombaro donna della Marina Militare», la prima e, finora, l’unica a indossare il basco blu del GOS, il Gruppo Operativo Subacquei, nei 170 anni di storia del reparto. Chiara Giamundo, 25 anni, di Tarquinia, entrata in Marina nel maggio del 2018, palombaro dal 21 febbraio del 2020. Quel giorno, alla cerimonia di consegna del brevetto e del basco blu, nel quartier generale degli incursori del Comsubin, a Le Grazie (La Spezia) c’era anche l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
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Dal nuoto agonistico ai fondali, come è nata l’idea di indossare lo scafandro?
«La mia passione per l’acqua nasce da bambina. Ho praticato nuoto agonistico per tredici anni e nell’adolescenza ho deciso di entrare in Marina. All’inizio era un’idea un poco astratta, poi ho cominciato a documentarmi su internet. I miei genitori mi hanno sempre dato fiducia: fai quello che ti piace, mi ripetevano. A 18 anni ho fatto la domanda per entrare in Marina come volontario Vfp1, ossia in ferma prefissata di un anno. Sono andata a Taranto e durante i due mesi di addestramento basico CAR è uscito il bando per palombaro. Ci ho provato, un po’ per gioco un po’ per sfida, non sapevo cosa mi aspettasse e nemmeno cosa facesse esattamente un palombaro».
Appunto, cosa fa un palombaro?
«È un professionista del mare. Il palombaro fa parte di una forza specialistica della Marina che conduce operazioni subacquee complesse e specializzata nella bonifica da mine e da ordigni inesplosi trovati in mare, negli interventi tecnici a quote profonde e nel soccorso e supporto agli equipaggi dei sottomarini. I palombari si occupano tra l’altro del recupero del personale all’interno dei sommergibili sinistrati, si pensi agli incidenti come quello della Costa Concordia o al disastro della torre piloti di Genova».
Indossa la stessa attrezzatura dei suoi colleghi uomini?
«Sia durante il corso che dopo, uomini e donne usano le stesse attrezzature senza differenze di peso, alcune alimentate da superficie e altre dall’attrezzatura stessa. Alcune sono molto pesanti, dipende dalla parte superiori dell’elmo o dagli stivali. Ci alleniamo sempre per riuscire a svolgere il nostro lavoro con attrezzature così pesanti. Ogni mattina alle 7,30 o siamo in palestra o andiamo a correre».
Cosa l’affascina di questo lavoro?
«Immergermi, per me è qualcosa di unico, mi piace quel momento in cui ho la mia serenità. Sei tu e il tuo respiro sott’acqua: è stupendo».
Quanto è stato difficile ottenere il brevetto?
«Il corso di tredici mesi è molto impegnativo, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Ci sono varie fasi e molte selezioni. Durante quei mesi non ho mai pensato di diventare la prima donna palombaro, volevo solo raggiungere l’obiettivo del brevetto perché avevo capito che era il lavoro della mia vita. Ho realizzato solo alla fine il mio primato, ed è stata una soddisfazione enorme, sia per me che per i miei genitori. Mi hanno aiutata e sostenuta nei momenti no, in cui pensavo di non farcela. Ogni volta ricominciavo: volevo diventare palombaro, a tutti i costi».
E i colleghi uomini come l’hanno accolta?
«I miei colleghi mi hanno sempre aiutata e incoraggiata: i palombari sono una grande famiglia, mi sono subito sentita parte del gruppo. Come carattere sono portata a pensare troppo e loro mi dicono: prendila con più leggerezza. Non mi hanno mai trattata in modo differente, con più delicatezza, e nemmeno hanno tentato di proteggermi e questo mi fa molto piacere».
Quale intervento, tra quelli che ha compiuto, le piace ricordare?
«La prima volta che sono stata impegnata nell’ingresso in bacino di una unità navale militare. Noi interveniamo a supporto per mettere le taccate che sono cunei di legno, per realizzare uno strato di sostegno che sorregga la nave. Ma adoro ogni momento di questo lavoro, mi piace l’adrenalina del tuffo dall’elicottero, necessario per svolgere alcune missioni».
A che profondità scende?
«Al momento fino a 60 metri, ho intenzione di fare altri corsi per poter scendere più in profondità, fino a 300. Adesso sto studiando per diventare pilota del robot subacqueo che può arrivare a tremila metri. E poi vorrei partecipare a missioni all’estero, sono già stata sei mesi su una nave che pattugliava la costa somala».
Lei è tra le testimonial della campagna di InspiringGirls #nonèdamaschio. Ci sono ancora stereotipi?
«È un onore e una grande responsabilità poter essere d’ispirazione, sono orgogliosa di rappresentare un modello per le ragazze e di incoraggiarle a seguire un percorso come il mio. Le donne sono in Marina da oltre 20 anni e molti stereotipi siamo riuscite ad abbatterli. Spero di avere presto altre colleghe palombaro». (ilmessaggero.it)