CASSAZIONE, SÌ AL RISARCIMENTO PER I MILITARI VITTIME DI MALATTIE IN MISSIONE
Le sezioni unite della Cassazione hanno disposto con la sentenza n. 23300/2016, depositata il 16 novembre, hanno sancito che il militare colpito da patologia fatale causata dal contatto con l’uranio impoverito, fa parte della categoria delle “vittime del dovere”.
La sentenza è stata emessa in riferimento al caso di un militare morto di una rarissima forma di tumore, dopo essere stato impiegato in una pericolosa missione in zona di guerra come quella dell’intervento in Bosnia alla fine degli anni Novanta.
Per la Suprema Corte risulta sufficiente la motivazione del giudice sul nesso causale fra malattia e agenti patogeni, oltremodo perché non è contestato l’impiego di uranio impoverito.
Tale decisione amplia anche ai militari in missione, ed anche al personale delle organizzazioni non profit impegnate all’estero, la possibilità di fare la domanda per ottenere i fondi stanziati dalla legge 266 del 2005 che ha fissato in 10 milioni di euro l’anno la spesa per indennizzare almeno in parte queste vittime.
Secondo la Suprema Corte, il militare che muore per malattia contratta in guerra è una “vittima del dovere” ai sensi dell’art. 1 della Legge 266 del 2005, norma che estende ai lavoratori delle forze armate i benefici riconosciuti ai dipendenti della pubblica amministrazione vittime della criminalità e del terrorismo. Per “vittime del dovere” secondo la Legge 266 del 2005, si intendono, spiega la Cassazione, tutti i dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio – fuori e dentro i confini nazionali – per effetto diretto di lesioni riportate “nel contrasto ad ogni tipo di criminalità, nello svolgimento di servizi di ordine pubblico, nella vigilanza ad infrastrutture, in operazioni di soccorso, in attività di tutela della pubblica incolumità o a causa di azioni nei loro confronti in contesti di impiego internazionale”.