CASSAZIONE: IL TEMPO IMPIEGATO PER INDOSSARE UNIFORME DEVE ESSERE CONSIDERATO ORARIO DI SERVIZIO
La Suprema Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sul cd. “tempo tuta” quale orario effettivo di lavoro, sentenza che potrebbe avere riflessi positivi nell’ambito del Comparto Sicurezza.
Proprio per le Forze di Polizia, infatti, sono sempre emersi dubbi in merito al computo del tempo impiegato per indossare la divisa, nel totale delle ore di servizio realmente effettuate.
A tal proposito, la Corte di Cassazione ha pronunciato, il 7 febbraio 2014, la sentenza n. 2837, per cercare di dissipare ogni incertezza, ribadendo che, “in relazione alla regola fissata con R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3 (una fonte legislativa che risale a 91 anni fa!) per la quale “è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa”,
è possibile considerare come lavoro effettivo, il tempo utilizzato per mettersi la divisa, tanto che quest’ultimo deve essere retribuito quando la fase della svestizione sia disciplinata dal datore di lavoro, che ne regolamenta sia il luogo che il tempo di esecuzione, oppure si tratti di operazioni che siano necessarie e obbligatorie per l’espletamento della propria attività lavorativa, non avendo il principio sopra citato alcun
effetto preclusivo in questo senso. Questa tematica, ad onor del vero, è stata perorata anche dalle rappresentanze dell’Arma dei Carabinieri che, con riferimento alla sentenza n. 20179 datata 22.07.2009, della Corte Suprema di Cassazione-Sezione Lavoro, che confermava quanto riconosciuto dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 488/04, suggerivano ai propri Vertici di estendere ai militari della Benemerita il
dispositivo secondo il quale “il tempo impiegato per la vestizione e la svestizione della divisa aziendale corrispondeva ad un obbligo imposto dal datore di lavoro” per cui “ha ritenuto congruo il tempo di venti minuti complessivi per le operazioni in questione…”.
Sull’argomento, di recente, sono tornati, poi, i giudici togati della Corte di Appello di Napoli con riferimento ad un addetto alla lavorazione di surgelati e gelati, costretto a mettersi la tuta, a calzare le scarpe antinfortunistiche, il copricapo e i vestiti intimi distribuiti dall’azienda, con la conseguenza di doversi presentare sul posto di lavoro circa 15 minuti prima dell’inizio del proprio turno; solamente dopo essersi vestito ed aver oltrepassato un apposito tornello con marcatura del badge, il predetto dipendente poteva finalmente raggiungere il posto di lavoro dove l’attendeva un’apparecchiatura bollatrice che registrava l’orario di entrata.
L’intera procedura doveva poi essere seguita dal lavoratore dopo la fine del proprio turno di servizio anche avuto riguardo la svestizione. Il giudice dell’appello, nel modificare la sentenza del precedente grado di giudizio, ha riconosciuto il diritto del lavoratore all’emolumento relativo al tempo utilizzato per le fasi di vestizione e di svestizione, ritenendole obbligatorie e indispensabili per lo svolgimento delle mansioni sotto la direzione del datore di lavoro.
I giudici di legittimità, aditi dai legali dell’azienda, hanno confermato la sentenza d’appello, precisando che “l’orientamento secondo cui per valutare un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera, consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104 comma 2 cod.civ. ) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di
quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva”.
La similitudine della vicenda presa in esame dai giudici partenopei, con la realtà lavorativa degli operatori delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate, è lampante; migliaia di uomini e donne appartenenti al comparto sicurezza e difesa sono obbligati giornalmente, per poter svolgere appropriatamente i compiti istituzionali ad essi demandati, ad indossare una divisa, in un arco di tempo che può andare dai 10 minuti ai 20 minuti, in relazione al reparto di appartenenza e allo specifico servizio da svolgere.
Il pronunciamento della Corte di Cassazione appare, dunque, attagliarsi anche agli appartenenti alle Forze dell’Ordine, ai quali sembra, pertanto,
ragionevole riconoscere la retribuzione per il lasso di tempo utilizzato per indossare una divisa.
Tale riconoscimento potrebbe avvenire mediante una riduzione dell’orario effettivo di lavoro onde poter includere il tempo necessario per la svestizione, come potrebbe essere riconosciuto inserendolo nel monte ore di straordinario; quest’ultima ipotesi potrebbe essere quella più plausibile dal punto di vista economico e quella più consona per i lavoratori del settore Sicurezza e Difesa, i quali potrebbero vedersi riconoscere dai 30 ai 40 minuti in più di lavoro extra giornalieri (15 o 20 per indossare la divisa e 15 o 20 per togliersela).