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Caso Ramy: indagini chiuse, quattro Carabinieri rischiano processo. “Erano a 290 metri, ma la Procura va avanti”


Indagini chiuse, ma la polemica esplode

La Procura di Milano ha ufficialmente chiuso le indagini preliminari nei confronti di quattro carabinieri coinvolti in uno dei filoni più delicati legati alla morte di Ramy Elgaml, il 19enne deceduto il 24 novembre 2024 a seguito di un inseguimento in scooter con una pattuglia. Una vicenda che fin dal primo momento ha sollevato dubbi, proteste e interrogativi sulla dinamica dell’incidente e sulle condotte delle forze dell’ordine coinvolte.

L’inchiesta si arricchisce ora di un nuovo capitolo: due dei carabinieri dovranno rispondere di depistaggio e favoreggiamento, mentre altri due sono indagati esclusivamente per depistaggio.


Le accuse: video cancellati e alterazione delle prove

Secondo quanto emerge dalle carte della Procura, le ipotesi di reato parlano chiaro: due militari avrebbero alterato “artificiosamente il corpo del reato”, ovvero modificato lo stato delle cose connesse all’incidente mortale con l’obiettivo di “impedire, ostacolare o sviare l’indagine” relativa alla tragica fine di Ramy Elgaml.

Non solo: entrambi sono anche accusati di aver costretto un testimone a cancellare i video presenti sul proprio cellulare, filmati che avrebbero immortalato gli ultimi istanti di vita del ragazzo, informazioni potenzialmente decisive per chiarire quanto accaduto.

Gli altri due carabinieri sono invece accusati unicamente di depistaggio, ma sempre in relazione alla cancellazione di immagini video rilevanti.


La difesa: “Erano a 290 metri, perché si va avanti?”

A rendere ancora più rovente il clima, le parole dell’avvocato Piero Porciani, legale di uno dei militari sotto accusa:

Siamo sconcertati. Dopo che abbiamo dimostrato che i due militari si trovavano a 290 metri dal luogo dell’impatto, i pm hanno deciso comunque di andare avanti”.

Una dichiarazione che lascia intendere un forte dissenso verso la linea dell’accusa, evidenziando quella che la difesa considera una prova oggettiva dell’estraneità almeno di parte dei carabinieri rispetto alla fase finale dell’incidente in cui Ramy ha perso la vita.


Un caso che scuote la fiducia

La morte di Ramy Elgaml è diventata un simbolo di tensione tra cittadini e istituzioni, un evento che richiama alla memoria altri casi controversi di interventi delle forze dell’ordine finiti tragicamente. L’inchiesta milanese, divisa in più filoni, si inserisce in un contesto già carico di aspettative, dove ogni dettaglio può fare la differenza tra giustizia e sospetto.

Con la chiusura delle indagini, si apre ora la fase decisiva: la Procura potrà chiedere il rinvio a giudizio o eventualmente archiviare le posizioni, anche se, dati gli atti compiuti finora, l’ipotesi di processo sembra più che probabile.

Nel frattempo, la famiglia di Ramy, il testimone coinvolto e l’opinione pubblica attendono risposte chiare e trasparenti.


Il peso delle immagini cancellate

Se confermate, le accuse relative alla rimozione forzata dei video rischiano di rappresentare un colpo durissimo alla credibilità dell’intero corpo di appartenenza degli indagati. Le immagini — già scomparse — avrebbero potuto confermare o smentire la versione ufficiale dell’accaduto, e la loro cancellazione pone una seria ombra sulle intenzioni dei militari coinvolti.

Cosa mostrassero quei video, oggi, potrebbe restare un mistero. E proprio per questo, il loro valore probatorio — e la loro sparizione — diventano il fulcro dell’inchiesta.


Cosa succede ora

Con la chiusura delle indagini, la parola passa ora alle parti: le difese potranno presentare memorie o chiedere nuovi atti prima che la Procura formalizzi la richiesta di rinvio a giudizio. Sarà un tribunale, eventualmente, a stabilire se le condotte contestate costituiscano reati o se, come sostiene la difesa, si tratti di una ricostruzione infondata.

Quel che è certo è che il caso Ramy Elgaml continuerà a far discutere, ponendo interrogativi non solo giudiziari, ma anche etici, sociali e istituzionali.


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