Carabinieri, processo sui due milioni spariti. Giallo su firme e assegni
Due milioni spariti dalle casse dei carabinieri, la legione della Campania. Un ex cassiere, il brigadiere Tommaso Tafuro, accusato dell’ammanco dal 2010 al 2021. E cinque ufficiali, colonnelli e tenenti colonnello, finiti davanti alla Corte dei conti. La loro colpa? Non aver vigilato. E peggio ancora: le firme di tre di loro su 78 assegni incassati indebitamente da Tafuro. È il giallo di un processo che imbarazza l’Arma. Uno dei colonnelli ha presentato querela perché la sua firma sarebbe stata falsificata. Una mossa sufficiente per assolvere di fatto tutti gli ufficiali?
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«Ma gli altri non hanno presentato querela di falso», attacca in udienza giovedì il sostituto procuratore contabile, Davide Vitale. È scontro con le difese dei carabinieri. Sul banco degli imputati oltre a Tafuro, i colonnelli Michele Veccia e Vincenzo Cante, i tenenti colonnello Vincenzo Lello e Salvatore Rizzo, il maggiore Francesco Bruschini.
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Cinque ufficiali che una commissione interna dell’Arma ha già ritenuto estranei, raggirati “dalle tecniche raffinate e scaltre del cassiere per eludere i controlli”. Tensione in aula. «Il disconoscimento delle firme può avvenire con l’esibizione degli assegni originali», è la tesi dell’avvocato Arturo Testa che difende Lello: «Ma qui siamo in presenza di mere fotocopie».
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Questione tecnica che diventa di sostanza. Perché si sospende il processo per i 35 assegni su cui ci sarebbe la firma falsa di Cante, il colonnello che ha presentato querela. Ma il giudizio va avanti sugli altri 43 assegni per i quali pende su Tafuro e i 5 ufficiali la richiesta di risarcimento avanzata dalla Procura contabile. Il collegio, presieduto da Michele Oricchio, accoglie così l’impostazione del pm Vitale, mentre gli avvocati dei carabinieri confidavano nella sospensione dell’intero processo, in attesa del giudizio sulle firme false. «Questa vicenda ha avuto un serio pregiudizio sul mio cliente – attacca in aula l’avvocato Luca Rubinacci che difende Rizzo – è una macchia grave sulla sua carriera. È stato trasferito, deve prendere tutte le mattine alle 6 un treno per andare a lavoro.
Eppure è stato lui a denunciare l’ammanco un secondo dopo averlo scoperto. E si è visto trattare così da questa Corte. La prossima volta sarò costretto a consigliare al mio assistito di farsi gli affari suoi…».
Intanto questo processo potrebbe diventare uno spartiacque per la Corte dei conti. La Procura ha chiesto al collegio di contestare davanti alla Consulta la norma approvata durante il Covid che limita tuttora l’azione dei magistrati contabili. Per rilanciare l’economia e combattere la cosiddetta paura della firma da parte dei dirigenti pubblici, dal 2020 è stato introdotto uno scudo erariale. Le Procure contabili non possono perseguire chi ha commesso un fatto illecito per colpa grave. Ma per paradosso possono prendersela solo con chi non ha vigilato. Nel caso dei carabinieri sarebbero al riparo gli ufficiali che hanno firmato 10 assegni incassati indebitamente dal 2020. «Uno scudo inconcepibile – attacca il pm Vitale – se pensiamo all’ordinamento militare caratterizzato da regole più stringenti».
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