Carabinieri: Non è vittima del dovere il maresciallo ferito per sedare la rissa
(di Avv. Umberto Lanzo) – Immaginate di essere un carabiniere in pattuglia e, improvvisamente, vi trovate nel mezzo di una rissa furiosa. Intervenite per riportare l’ordine e ne uscite feriti. Pensate di meritare un riconoscimento speciale per il vostro coraggio? Beh, secondo la Corte di Cassazione, potreste rimanere delusi. Con una recente sentenza che sta facendo discutere, i giudici supremi hanno stabilito che affrontare situazioni come queste rientra semplicemente nella “routine” del lavoro di un carabiniere.
Il caso: un carabiniere ferito cerca giustizia
Al centro di questa vicenda c’è un maresciallo dei carabinieri che non si è arreso facilmente. Ferito gravemente mentre cercava di placare una rissa tra automobilisti inferociti, il militare ha bussato alle porte della giustizia chiedendo il riconoscimento dello status di “vittima del dovere”. Questo riconoscimento non è solo un’etichetta onorifica, ma comporta benefici concreti, come una pensione privilegiata. Tuttavia, il Ministero dell’Interno ha respinto la sua richiesta, dando il via a una battaglia legale che è giunta fino alla Cassazione.
La Cassazione conferma: “È tutto nella norma”
Con la sentenza n. 22778, la Suprema Corte ha messo la parola fine alle speranze del carabiniere. Secondo i giudici, intervenire in una rissa durante un normale servizio di pattuglia, con tutti i rischi annessi, fa parte della “routine” del mestiere. In altre parole, non c’è stato nulla di straordinario.
I criteri per essere “vittima del dovere”
Ma cosa serve allora per guadagnarsi questo status? La Corte ha fornito alcuni indizi:
- Deve trattarsi di un’azione contro la criminalità organizzata. Sembra che i “semplici” teppisti non bastino.
- Ci deve essere un “rischio specifico” legato a operazioni di polizia particolarmente delicate. Una rissa stradale, dunque, per quanto violenta, non basta.
- L’agente deve essere in missione speciale, non in un normale giro di pattuglia.
Insomma, pare che per la Cassazione, se non stai combattendo la mafia o partecipando a un’operazione anti-terrorismo, sei “solo” un carabiniere che fa il suo lavoro.
Una decisione che solleva domande
Questa sentenza apre un vaso di Pandora di interrogativi. Dove tracciamo il confine tra rischio ordinario e straordinario per chi indossa una divisa? Stiamo forse sottovalutando i pericoli che le forze dell’ordine affrontano ogni giorno? E come bilanciamo il giusto riconoscimento del loro coraggio con le esigenze di bilancio dello Stato?
La decisione della Cassazione potrebbe avere effetti a cascata. Da un lato, potrebbe restringere notevolmente i criteri per ottenere lo status di vittima del dovere. Dall’altro, potrebbe scatenare le proteste di sindacati e associazioni di categoria, che potrebbero vedere in questa interpretazione una sottovalutazione dei rischi quotidiani affrontati dagli agenti.
Un invito alla riflessione
In fin dei conti, questa sentenza ci invita a riflettere su come la società valuta e tutela chi rischia la vita per proteggerci. Se è vero che non ogni intervento può essere considerato straordinario, è altrettanto vero che il coraggio di chi sceglie di mettersi al servizio della comunità merita il giusto riconoscimento.
Un equilibrio difficile ma necessario
La sfida, ora, è trovare un equilibrio tra il riconoscimento dei rischi professionali e la sostenibilità economica delle tutele offerte. La sentenza della Cassazione ha aperto un dibattito che va oltre il caso singolo, toccando il cuore di come concepiamo e valorizziamo il lavoro delle forze dell’ordine. Una cosa è certa: la discussione è appena iniziata, e promette di essere accesa quanto la rissa che ha dato origine a questa vicenda.
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