Carabinieri, Maresciallo condannato per calunnia contro superiore
Torino, 20 giugno 2024 – Un caso giudiziario ha scosso il “reparto servizi magistratura” del Palagiustizia di Torino, portando alla condanna di un maresciallo dei Carabinieri a 1 anno e 10 mesi di reclusione senza sospensione condizionale.
L’Esposto Incriminato
Nel mirino dell’accusa è finita una denuncia presentata dal maresciallo contro il suo superiore diretto, un luogotenente che coordinava le attività del reparto. Nell’esposto, il militare dipingeva un quadro inquietante di presunti illeciti commessi dal superiore, tra cui il gonfiamento delle ore di straordinario, intemperanze verbali, intimidazioni, minacce di procedimenti disciplinari e ordini di servizio punitivi ai danni dei sottoposti.
Le Contraddizioni delle Chat
Eppure, le chat agli atti del processo raccontano una storia diversa. I toni amichevoli, spesso cerimoniosi, degli scambi non lasciavano presagire astio o contrasti profondi. Questo elemento è stato cruciale per il Pubblico Ministero Gianfranco Colace, che ha commentato: “Dal punto di vista umano, c’è stata slealtà e ipocrisia. Il maresciallo si è accanito. Lo ha fatto per vendetta e per difendersi da un procedimento disciplinare.”
Accuse Infondate
Le accuse mosse nell’esposto sono state smentite dal superiore diretto del luogotenente, un tenente colonnello, e dalle indagini svolte dall’aliquota di polizia giudiziaria dell’Arma, che hanno portato all’archiviazione del fascicolo. Episodi presunti come la minaccia “Prima o poi quel telefono te lo rompo” rivolta a un carabiniere per l’uso eccessivo del cellulare in servizio, o l’ordine di guidare un furgone nonostante le perplessità del sottoposto, non sono stati considerati come prove di soprusi dal Pubblico Ministero.
Conseguenze Pesanti
Il maresciallo ha dovuto affrontare le conseguenze delle sue azioni. La condanna a 1 anno e 10 mesi di reclusione senza sospensione condizionale, inferiore ai 3 anni inizialmente richiesti dal Pubblico Ministero, rappresenta il prezzo salato da pagare per la denuncia rivelatasi infondata.