Carabinieri, La famiglia di Beatrice: «Gerarchia malata, si indaghi dentro la scuola marescialli di Firenze»
«Il sogno di mio fratello era vedere sua figlia con i gradi di maresciallo e mettersi sull’attenti per farle il saluto, come si fa con un superiore». C’è tutto lo strazio di una famiglia nel sogno spezzato di Stefano Belcuore. Lui è brigadiere dei carabinieri. Ha quasi 60 anni e tra qualche mese andrà in pensione. Dopo 40 anni nell’Arma immaginava di passare il testimone alla sua unica figlia: Beatrice, 25 anni, all’ultimo anno del corso per marescialli. Ma il 22 aprile scorso lei si è tolta la vita, sparandosi un colpo alla tempia nei bagni della scuola marescialli di Firenze. Da allora del sogno di papà Stefano resta solo la foto che li mostra insieme, orgogliosi, con la stessa divisa da carabinieri.
«Siamo devastati», dice Davide Belcuore, lo zio di Beatrice. «Per me era una figlia. Praticamente l’ho cresciuta anche io, era sempre a casa mia». Il padre di Beatrice non è sufficientemente lucido per raccontare quel che sta vivendo, la rabbia e il desiderio di giustizia. Tocca così allo zio farsi portavoce per tutta la famiglia. «Vogliamo giustizia – scandisce Davide Belcuore – e non ci fermeremo. Vogliamo che venga fatta verità sulla morte di Beatrice. E la verità va ricercata proprio all’interno della scuola Marescialli di Firenze dove, qualcuno, ha un’idea distorta di cosa sia la gerarchia. All’interno di quella scuola forse Beatrice si è scontrata con qualcuno o magari ha subito atteggiamenti ai quali non ha retto. Ma questa per noi è istigazione al suicidio».
Beatrice, suicida a 25 anni nella scuola marescialli. La famiglia: «Morta per le pressioni di una gerarchia malata»
Giorni fa Davide Belcuore ha incontrato la deputata del M5S Stefania Ascari che sta conducendo una battaglia sul dramma dei suicidi nelle Forze armate, che ha toccato numeri allarmanti: uno ogni 5 giorni. Per questo ha presentato una proposta di legge per chiedere l’istituzione di una Commissione d’inchiesta. Per lo zio la tragedia di Beatrice sarebbe collegata a quanto già denunciato nella lettera inviata dalla famiglia al sindacato Unarma. Si raccontava, tra l’altro, di quando Beatrice era stata costretta a stare in adunata, nonostante avesse il Covid. In quella occasione il padre chiamò, preoccupato, la scuola marescialli. «Gli risposero a muso duro — ricorda lo zio —, tanto che dopo mandò una mail di scuse».
Ma per Davide Belcuore quell’incidente lasciò il segno. «Da quel momento, secondo me, Beatrice fu presa di mira. In un sito delle forze di polizia abbiamo anche trovato un commento anonimo di un allievo secondo il quale, le rimostranze di mio fratello, “lei le pagò a caro prezzo”. Perché il pm non rintraccia questo allievo? Perché non vengono sentiti gli altri del corso?» Attualmente sono due le inchieste in corso. Una della Procura di Firenze e una della Procura Militare. «Ma ad oggi non sappiamo praticamente nulla — dice il legale della famiglia, Riziero Angeletti —. Non ci sono indagati, non c’è ipotesi di reato. Sarà paradossale, ma aspettiamo che chiedano l’archiviazione, così almeno possiamo vedere il fascicolo e capire a che punto siamo e cosa è stato trovato nel cellulare di Beatrice».
Per la famiglia sono tante «le cose che non tornano». «Perché non venne fatta l’autopsia? — si chiede lo zio — Perché le indagini sono state delegate agli stessi carabinieri?». E poi c’è il giorno della tragedia. «Quella mattina lei era a lezione. Ad un certo punto chiede di assentarsi un attimo. Ma per oltre due ore nessuno l’ha cercata. A trovarla sarà una collega. Ma le pare normale? E poi: fino a qualche ora prima aveva messaggiato con la madre, mandandole sticker spensierati. Cosa è successo in quelle poche ore che l’ha fatta crollare?».
Quella mattina lo zio fu il primo ad arrivare alla scuola marescialli di Firenze. «L’avevano già vestita ed avevano un gran fretta». Lo zio non accetta neanche che si faccia passare l’idea che Beatrice non abbia retto alla dura vita militare. «Stupidaggini! Era stata un anno in Marina ed era già carabiniera da due anni. Non solo, puntava anche a fare l’Accademia. Non era certo una novellina. Semmai aveva una forte carica di idealità che a volte può essere mal sopportata. Per tanti che onorano la divisa c’è una parte di gerarchia malata che fonda tutto sulla paura, non sull’autorevolezza e la capacità di leadership. Alcuni comandano solo con il grado. Una cosa è fare addestramento duro, un’altra è non avere rispetto per le persone» (Alfio Sciacca per il Corriere.it)